ISRAELE AGLI EBREI, LO STATO AI COLONI

Israele NetanyahuBenjamin Netanyahu presso il Muro Occidentale (Muro del Pianto).

Le elezioni anticipate, fissate dal Governo per il 17 marzo, saranno quasi solo una formalità. Il suo Rubicone Israele l’ha già valicato nel momento in cui Benjamin “Bibi” Netanyahu ha deciso di saltare sul cavallo del nazionalismo religioso, dichiarando di colpo urgente la proclamazione per legge di “Israele Stato della nazione ebraica”, per salvare le proprie pericolanti fortune politiche. Ma c’è della logica in questa follia. Il paradosso è nell’occasione: Netanyahu è l’uomo rimasto al potere più tempo dopo David Ben Gurion, uno dei padri della Patria, ma il suo attuale Governo (che non riesce nemmeno ad approvare il bilancio) è considerato uno dei peggiori, se non il peggiore, nella storia di Israele. Se la follia è tutta politica, la logica sta in un processo storico lungo decenni che prima o poi doveva portare a questo. Molti (tra loro anche l’ex presidente Shimon Peres e l’attuale presidente Reuven Rivlin, che hanno criticato Netanyahu) oggi si riferiscono alla Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato di Israele, del 14 maggio 1948, quella che solennemente affermava che “(lo Stato di Israele) assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite”. La stessa Dichiarazione (in cui la parola “democrazia” e l’aggettivo “democratico” non figurano), sottolineava però il diritto del popolo ebraico “a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano”.

Un equilibrio delicato (tra Israele come Stato di tutti coloro che lo abitano ma “proprio” solo agli ebrei) che si è spezzato non oggi ma molti anni fa, con la stagione degli insediamenti e delle colonie, partita dopo la Guerra dei Sei Giorni (1967) e intensificatasi dall’inizio degli anni Settanta. Nel maggio di quest’anno, Uri Ariel, ministro delle Costruzioni, ha fissato in 750 mila il numero degli israeliani che vivono nei “Territori occupati”, pronosticando una crescita di altri 200 mila nei prossimi cinque anni. Il che vorrebbe dire: 1 israeliano-ebreo su 8 insediato in quella che in quella che, secondo tutti i trattati internazionali, è terra palestinese.

Israele e la legge sulla “nazione ebraica”

Una colonizzazione (c’è altro termine per definirla?) che all’inizio era controllo del territorio (avamposti in zone poco abitate per proteggere Israele da un reale o potenziale nemico), poi è diventata occupazione del territorio e infine, da quando la destra è andata al potere, è diventata occupazione anche culturale. Chi oggi si straccia le vesti per la legge su “Israele Stato della nazione ebraica” forse non ha notato a tempo debito questa progressione. Quindi non riesce a capire due cose decisive. La prima è questa: Netanyahu non fa che inchinarsi a un “pubblico elettorale” che la destra ha solleticato a lungo, finendo per esserne schiava. Chiedere per anni e anni ai “coloni” e ai loro sostenitori (gli ebrei ortodossi più o meno ultra) di stare in prima linea nel confronto-scontro con i palestinesi e pensare che si sarebbero accontentati di qualche sconto sulla casa e di un po’ di benefit fiscali, era semplicemente assurdo. E infatti… La seconda cosa è questa. Gli arabi palestinesi (musulmani, cristiani o drusi che siano), che pure formano il 20% della popolazione di Israele, sono già per diversi aspetti cittadini che occupano uno scalino inferiore. Una legge che riconoscesse solo agli ebrei la piena appartenenza a Israele (e viceversa), trasformerebbe tutti gli altri in estranei, al meglio in ospiti, per loro natura provvisori. In altri termini: spianerebbe la strada, da un punto di vista politico se non pure legale, al trasferimento o all’espulsione dei non ebrei. Non a caso è questo il piano di colui che, oggi, è il vero uomo forte della destra in Israele, il ministro degli Esteri Avigdor Liberman. Il quale propone di concedere agli arabi che non si riconoscono nello Stato di Israele incentivi economici perché rinuncino alla cittadinanza e si trasferiscano nel futuro Stato di Palestina. Nel cui teorico territorio, però, vivono oggi 750 mila israeliani ebrei. Glielo dirà Liberman che devono traslocare anche loro? Gli dirà anche come e dove? Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio Oriente di Famiglia Cristiana

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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