La Rivoluzione degli ombrelli, cioè l’ondata di proteste, soprattutto giovanile ma non solo, che ha sconvolto la vita di Hong Kong per chiedere il suffragio universale diretto, forse inietterà il bacillo della democrazia alla Cina intera, cioè anche a quella “continentale”. Mi pare un po’ presto per dirlo, ma molti di coloro che hanno seguito in diretta le manifestazioni ci credono, e non vedo perché non dovrei dare loro almeno un po’ di fiducia.
Nell’immediato, però, la rivoluzione degli ombrelli ha prodotto, secondo me, un risultato che i più non hanno forse percepito: ha sancito lo status di grande potenza della Cina. La Rivoluzione degli ombrelli, infatti, è stata infatti prima circoscritta, poi intimidita (con le ronde dei cittadini “pro Cina” e i gangster delle triadi) e infine sciolta. E il suffragio universale diretto, che è la base di qualunque sistema democratico, non è stato concesso.
Ma il dato più significativo non è questo: gli studenti ci riproveranno, il regime resisterà, ma un’altra crisi è solo rimandata. Il fatto importante è stato il silenzio. Avete per caso sentito intervenire l’Onu? Obama, al quale peraltro non mancano i problemi, ha per caso fatto uno dei suoi discorsi sulla democrazia? Qualcuno ha attaccato la Cina? Per la Rivoluzione degli ombrelli, insomma, non si è esposto nessuno.
Rivoluzione degli ombrelli e diritto
Ed è proprio questo ad aver sancito lo status di grande potenza della Cina. Perché il diritto internazionale, nella realtà dei fatti, è quasi sempre risolto a braccio di ferro: se sei abbastanza forte da farlo, lo fai. Punto e stop. Gli Usa lavorano per ribaltare il Governo filo-russo dell’Ucraina? Se ce la fanno, la cosa diventa lecita. Chi può impedirglielo? La Russia decide di riprendersi la Crimea? Lo fa. Con più fatica degli Usa ma lo fa. E così via, dalla guerra in Iraq del 2003 alla guerra contro Gheddafi nel 2011, passando per una miriade di altri esempi. La Cina non voleva dar retta alla Rivoluzione degli ombrelli e non gliel’ha data.
E’ vero, la Cina è una potenza ormai da parecchi anni. Ma tra esserlo ed esser trattata come tale passa una differenza. Ancora nel 2008, in occasione delle Olimpiadi, George W. Bush (che arrivò a Pechino dopo un tour asiatico) non perse occasione per rimproverare ai cinesi le violazioni dei diritti umani e la situazione del Tibet, e con lui altri leader occidentali. Per la Rivoluzione degli ombrelli solo silenzio. Anche se il diritto di voto è una causa di quelle “senza se e senza ma”.
Certo, la Cina detiene il 21% del debito pubblico degli Usa, e questo sulla Casa Bianca un qualche effetto lo fa. Ma ho la sensazione che in questi ultimi anni sia cresciuto (grazie all’espansione degli interessi cinesi su scala globale, dall’Africa agli accordi energetici e commerciali con la Russia) il peso specifico della Cina come attore disposto e capace di intervenire nelle questioni geopolitiche strategiche, e non solo in quelle che la toccavano direttamente. Esporsi per la Rivoluzione degli ombrelli, di fronte alle “partite” economiche e politiche che si giocano in Medio Oriente, in Asia e appunto in Africa, evidentemente è parsa cosa da non fare.
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