EBOLA FA MUOVERE GLI ESERCITI

EbolaMalati di Ebola in Liberia.

Proprio mentre un gruppo di ricercatori inglesi ripercorre la storia dell’Aids e localizza in un cacciatore, infettato dalle scimmie in Camerun un secolo fa, il paziente “zero” del virus che avrebbe poi investito 76 milioni di persone, un altro spettro africano spaventa il mondo: si chiama Ebola e in poche settimane ha “conquistato” Sierra Leone e Liberia, devastato la Guinea e gettato pericolose teste di ponte in Nigeria e Congo.

Non sembri fuori luogo la metafora militare: spazzate le fragili barriere sanitarie dei Paesi africani, in difficoltà le organizzazioni umanitarie, sono ora gli eserciti a intervenire. Per primo, come sempre, almeno in termini di numeri, quello americano, che tra poco avrà 3.500 soldati nelle zone africane più colpite. Inutile nascondersi che dietro questa mobilitazione vi sono solide ragioni scientifiche (molte forze armate, addestrate dai timori di una guerra batteriologica, hanno competenze molto utili in situazioni di questo genere) ma anche crudemente pratiche: potrebbe persino servire la forza se contro Ebola si arrivasse, come molti dicono, a una quarantena totale della Liberia, e se si vogliono evitare episodi come quello del 19 settembre, quando una missione di sensibilizzazione sanitaria fu attaccata dagli abitanti di una villaggio in Guinea e sterminata.

Ebola e la politica

C’è un’altra ragione per la presenza dei soldati americani o europei nei luoghi in cui l’epidemia di Ebola si è manifestata e allargata. Riassume le due precedenti e le colora di politica, della volontà di avere un “occhio” nel cuore del problema: il timore che Ebola possa sfuggire al cordone sanitario tracciato in Africa per raggiungere anche l’America e l’Europa. Thomas Eric Duncan, il primo malato “ufficiale” di Ebola negli Usa segnalato a Dallas (Texas), è bastato a scatenare il panico e a far spuntare possibili casi in zone lontanissime come Washington e le Hawaii.  Situazione simile solo in apparenza in Germania: qui due casi, ma i contagiati sono medici che lavoravano in Africa proprio nei paesi più colpiti.

Il panico americano deriva dal fatto che il malato è una persona qualunque, un liberiano arrivato negli Usa con regolare visto per sposare la fidanzata. Un uomo che, ricoverato in ospedale con febbre e vomito, aveva segnalato di arrivare da un Paese “a rischio” ed era stato comunque dimesso. Quanti come lui, sfiorati da Ebola, potrebbero esserci anche solo a Dallas, dove vivono e lavorano 10 mila persone di origine liberiana e almeno 45 mila immigrati dalla Nigeria?

L’Europa ha un problema analogo, ovviamente. Con una complicazione non da poco:  il massiccio afflusso di immigrati irregolari, appena contenuto e per molti aspetti fuori controllo. Gli esperti ribadiscono che la quasi totalità dei migranti arriva da regioni dell’Africa non toccate da Ebola, e che in ogni caso i sintomi del male, vista la lunghezza dei loro viaggi, si manifesterebbero prima dell’arriva sul Mediterraneo. Ma è ovvio che qualche precauzione andrà comunque presa, e che questo lavoro, decisivo anche per tranquillizzare l’opinione pubblica, non sarà certo agevolato dallo scarso dominio che abbiamo dei flussi migratori.

Questa preoccupata mobilitazione internazionale, così simile a quella raccontata da molti film di fantascienza ma drammaticamente più vera,  non manca però di una buona notizia, che vale per il mondo ma ancor più per l’Italia. Proprio da noi, infatti, nei laboratori Okairos di Pomezia (Roma), è stato sviluppato e prodotto il vaccino che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha adottato contro Ebola. E’ il primo ma decisivo tassello per combattere un nemico di cui, con precisione, conosciamo finora solo la pericolosità.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 5 ottobre 2014

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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