SCOZIA, I VANTAGGI DI USARE LA TESTA

Scozia referendumGlo scozzesi hanno scelto di conservare l'unione con l'Inghilterra.

Scozia: più di 55 elettori su cento, in una consultazione che ha avuto tassi di partecipazione straordinari, hanno detto “no, grazie” alla prospettiva di creare uno Stato indipendente e mettere fine agli oltre tre secoli di vita del Regno Unito, nato nel 1707 dalla confluenza politica del Regno d’Inghilterra (che comprendeva il Galles) e del Regno di Scozia.

Fanno molto bene, ora, gli autonomisti di ogni genere a piangere sul voto degli scozzesi. Perché questa indipendenza esaminata e rifiutata in Scozia è un caso così emblematico che andrebbe studiato nelle scuole.

In nessun altro luogo del continente, infatti, la prospettiva dell’autonomia poteva avere, almeno in apparenza, altrettanto senso. Per la storia, innanzitutto. Scozia e Inghilterra erano state a lungo separate prima del 1707 e la Scozia aveva in molte occasioni combattuto per mantenere l’indipendenza. Non solo: agli inizi del Seicento fu addirittura Giacomo VI re di Scozia e diventare anche re d’Inghilterra col nome di Giacomo I e a trasferirsi da Edinburgo a Londra.

Scozia, beffa per gli automomisti

E poi per infinite altre ragioni: dai primordi (gli scozzesi hanno progenitori celti, gli inglesi angli e sassoni), alla religione (in Scozia si affermò una diversa e più radicale riforma protestante) fino alla politica quotidiana e odierna (a Londra è in carica un Governo conservatore mentre in Scozia prevalgono le opposizioni), passando per la diversa cultura e mentalità.

La Scozia, insomma, ha un’identità propria, vera e concreta, non inventata come certe altre. Al dunque, però, questo non è bastato e gli elettori hanno preferito conservare l’unione con l’Inghilterra. Il che dimostra che quando si tratta di impegnare il proprio futuro e quello dei figli la gente non sceglie con le viscere, in base a presunte esigenze di diversa cultura o addirittura civiltà, ma con il cervello e con il portafoglio.

E’ vero, detto così pare poco nobile e troppo terra terra. Ma la vita e il benessere delle persone non è questione bruta e secondaria: è, al contrario, la questione decisiva della politica, che dovrebbe infatti pensare a far vivere il meglio possibile i cittadini che ricadono sotto la sua giurisdizione. Chiamati a esprimersi, i cittadini di Scozia hanno usato la bilancia. Su un piatto, uno Stato da costruire e un’economia da organizzare in un’epoca di crisi globale e prolungata. Sull’altro, non solo ciò che già hanno ma anche ciò che comunque avranno.

Il solo fatto che si sia arrivati al referendum si è tramutato per gli accorti scozzesi in un grande investimento per le generazioni a venire. Dalla fine degli anni Novanta, cioè da quando furono creati i parlamenti di Galles e Scozia e l’Assemblea dell’Irlanda del Nord e sull’esempio di una riforma varata negli Usa un ventennio prima, la Scozia riceve un “block grant”, ovvero un pacchetto di sussidi del Governo centrale (Londra) che poi il Governo locale (Edinburgo) si incarica di spendere.

Nella campagna per aiutare il “no”, il premier Cameron si è spinto fino a promettere alla Scozia la “devo-max”, la totale automomia fiscale, appena temperata da una revisione contabile governativa. Cosa che gli attirato sul capo un pioggia di critiche del “suo” Partito conservatore, preoccupato che la “devo max”, alla fine dei conti, non risultasse per Londra ancor più pesante di un’eventuale distacco dalla Scozia. Ma anche Gordon Brown, ex premier, nato in Scozia e laburista, nei suoi interventi da paladino del “no” ha dovuto largheggiare, ipotizzando che la Scozia possa gestire in libertà il 40% della raccolta fiscale.

Così, il banale slogan degli unionisti, Better together ovvero “Si sta meglio insieme”, si è rivelato la più profonda delle verità: stare con Londra conviene. Il che porta con sé due altre considerazioni. Una riguarda gli Stati unitari: l’esempio scozzese può ispirare anche altri movimenti che, con la minaccia più o meno fondata di un referendum se non dell’autonomia, proveranno a ottenere dai Governi centrali cospicue concessioni. L’altra riguarda invece autonomisti e separatisti che, se vogliono proseguire nei loro intenti, dovranno imparare a parlare alla testa della gente. Con le viscere non si va lontano.

Pubblicato su Avvenire del 20 settembre 2014

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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