NERI SENZA GIUSTIZIA, IL TARLO DI OBAMA

Neri d'America e i disordini di Ferguson.I disordini a Ferguson (Missouri) dopo l'uccisione di Michael Brown.

Neri in America: dopo giorni e giorni di proteste e violenze; dopo che il governatore democratico dello Stato del Missouri, Jay Nixon, ha schierato la Guardia nazionale;  dopo che Barack Obama, per stemperare le tensioni, ha avvertito la necessità di aprire un’inchiesta indipendente. Ecco, dopo tutto questo, è chiaro che la morte violenta di Michael “Big Mike” Brown, l’adolescente di Ferguson ucciso con sei colpi di pistola dall’agente Darren Wilson che l’aveva fermato dopo un piccolo furto, travalica i confini della tragedia urbana e delle ipotesi di reato (anche se fa scandalo che l’agente non sia stato nemmeno interrogato da un magistrato) e apre piuttosto un libro che a nessuno, in America, piace sfogliare.

Lo dimostra, tra l’altro, il più recente sondaggio del Pew Research Center di Washington, centro studi indipendente che tasta con grande puntualità il polso del Paese. Dice la ricerca che l’80% dei neri americani giudica la morte di Big Mike un fatto con precise connotazioni razziali, mentre solo il 37% dei bianchi la vede così. Una spaccatura troppo ampia per non essere anche il segno di un modo molto diverso, e quasi conflittuale, di partecipare a una stessa società.

E’ una questione assai spinosa per Obama, primo presidente nero nella storia degli Usa e come tale giustamente celebrato insieme con il Paese che l’ha eletto. Dati diffusi dall’Fbi spiegano che dal 2006 al 2012 due uomini neri la settimana sono stati uccisi da poliziotti bianchi. L’ultimo prima di Big Mike era stato, a New York, Eric Garner: un piccolo rivenditore di sigarette senza licenza, morto soffocato perché l’agente lo teneva immobilizzato al suolo premendogli il manganello sul collo. Insomma, per dirla con una sintesi brutale: agli occhi delle minoranze, i cui voti furono decisivi per portarlo alla Casa Bianca, Obama potrebbe passare per un moderno ed elegante ma inefficace Zio Tom della politica.

NERI IN GALERA

Il rischio c’è e sono ancora le ricerche del Pew Centre a dimostrarlo. Nel 2009, con Obama appena insediato, la percentuale degli afroamericani convinti che per loro la situazione fosse migliorata era del 39%. Quel dato, già non strepitoso, è ora precipitato al 26%, mentre il 51% pensa che non sia cambiato nulla. Se poi si aggiunge che il 35% dei neri afferma di aver subito nell’ultimo anno “discriminazioni” o “trattamenti ingiusti” a causa del colore della pelle, ecco delineato il quadro di una profonda insoddisfazione.

Il problema investe tutta la vita sociale? No, affatto. Solo il 50% circa dei neri sostiene di essere trattato meno bene sul lavoro o quando si tratta di esercitare i propri diritti civili, il voto in primo luogo. Ma il 70% circa denuncia ingiustizie da parte della polizia e delle corti giudiziarie. Il che ci riporta a Big Mike e ai sei colpi di pistola (di cui due alla testa) che gli ha sparato l’agente Darren Wilson. Nella città dove è avvenuto il fatto,  il 60% della popolazione è nera ma neri sono solo 3 poliziotti su 53. E’ una politica saggia? Inoltre: si sa che finire in galera in America è piuttosto facile. Infatti, con il 5% della popolazione mondiale gli Usa hanno quasi un quarto della popolazione carceraria mondiale. Nelle celle, però, si nasconde un profondo crinale razziale: gli afroamericani formano il 30% della popolazione Usa ma il 60% dei carcerati. Un bianco americano ogni 106 è stato almeno una volta in prigione, e un ispanico ogni 36. Ma tra i neri la percentuale è incredibile: uno ogni 15.

Il problema, insomma, non è generale (e infatti il 57% degli afroamericani risponde “buona” ai sondaggi che indagano sulla convivenza con i bianchi) ma specifico: il sistema che dovrebbe difendere la società dal crimine. Obama ha detto che l’indagine  andrà fino in fondo ma che chi delinque deve comunque essere arrestato. E Big Mike aveva rubato una scatola di sigari. Il Presidente non potrà più ignorare, però, che nel Paese delle opportunità la giustizia non è uguale per tutti.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 20 agosto 2014

Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio oriente di Famiglia Cristiana

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top