“La fornitura di gas all’Europa non deve essere interrotta. Conto sulla Russia perché mantenga i suoi impegni”. Non suona patetico, il povero José Barroso, presidente della Commissione Europea, che fino a ieri minacciava sanzioni e sfracelli contro la Russia e ora prova a parlare il linguaggio dei gentiluomini? La stessa Europa che ha fomentato il sentimento anti-russo in Ucraina ora trema e teme di restare senza il prezioso gas russo.
Il tono è cambiato subito dopo che la Russia di Vladimir Putin ha firmato un imponente contratto per la fornitura di gas con la Cina di Xi Jinping: il patto tra Gazprom e la China National Petroleum Corporation prevede trent’anni di rifornimenti da Mosca a Pechino per un valore complessivo di oltre 400 miliardi di dollari. Un accordo con molte clausole segrete ma importantissimo per entrambi i contraenti.
Dal gas russo la Cina ottiene la stabilità delle forniture (la Russia è il primo esportatore di gas al mondo, mentre ora il primo fornitore per la Cina è il Turkmenistan), un parziale contenimento dei prezzi sul lungo periodo (anche se qualche adeguamento rispetto al prezzo di mercato pare previsto dal contratto), un modo di cominciare a contenere, proprio grazie al gas, il problema dell’inquinamento da carbone, nelle zone industriali e nelle grandi città ormai arrivato a livelli insostenibili. Oltre che, ovviamente, stringere un’alleanza economico-politica che sfida gli Usa e non mancherà di infastidirli.
Cremlino, gas e politica
Per la Russia i vantaggi sono ancora più evidenti, anche nel breve termine. Il primo, e il più evidente proprio alla luce della recente crisi ucraina, è ridurre la dipendenza dall’Europa nella commercializzazione del gas. Con 160 milioni di metri cubi di gas acquistati ogni anno, l’Europa è stata fino all’anno scorso il miglior cliente della Russia. Già nel 2014, però, la Cina salirà al primo posto, con la prospettiva di aumentare ancora le importazioni. Per le casse del Cremlino un flusso di denaro fresco e sicuro.
Minor dipendenza economica significa, è ovvio, minor dipendenza politica. Da questo punto di vista, l’accordo sul gas inevitabilmente prelude a un intensificazione dei rapporti commerciali tra Russia e Cina: l’interscambio tra i due colossi oggi vale “solo” 90 miliardi di dollari, contro i 370 degli scambi tra Russia ed Europa. In politica, ciò vuol dire che il Cremlino potrà manovrare con disinvoltura ancora maggiore, sia nei confronti della Ue sia nei confronti degli Usa.
Per stringere questo accordo sul gas, Russia e Cina hanno discusso dieci anni. Il memorandum d’intesa fu siglato nel 2006, e gli otto anni passati prima dell’accordo vero e proprio danno l’idea della complessità della partita. A questo punto riprende automaticamente quota il progetto del gasdotto dell’Altai: un condotto di 2.800 chilometri (dei quali 2.600 in territorio russo) che dovrebbe attraversare la Siberia e portare in Cina 30 milioni di metri cubi di gas l’anno attraverso tubi del diametro di 1 metro e mezzo. Costo dell’opera: 14 miliardi di dollari. La lunghezza delle trattative aveva tenuto in scacco i lavori, avviati ma non ancora completati.
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