“ L’Olocausto è il crimine più atroce che l’umanità abbia conosciuto nella storia moderna”. Queste parole di Mahmoud Abbas, il leader di Al Fatah noto come Abu Mazen, pronunciate proprio alla vigilia del giorno che Israele dedica al ricordo degli ebrei sterminati dai nazi-fascisti, segnano una svolta importante.
Non tanto perché Abu Mazen, come quasi tutti i leader palestinesi, abbia da farsi perdonare un passato da negazionista o quasi (scrisse un libro intitolato “Il rapporto segreto fra nazismo e sionismo”). E nemmeno perché si possa immaginare che Israele si commuova per così poco, o che la svolta si travasi di colpo nelle teste di tutti i palestinesi.
Le parole di Abu Mazen sono importanti perché possono significare che la classe politica palestinese, così improvvida in moltissime manifestazioni, sta finalmente maturando. Forse sta diventando adulta. Qualunque cosa si pensi di Israele e dei suoi atteggiamenti verso i palestinesi, non è negando la Shoah o le passate traversie del popolo ebraico che si può sperare di raddrizzare le cose. Anzi: è ovvio che negare l’innegabile e insieme auspicare la distruzione dello Stato ebraico (come per esempio ancora fa a Gaza Hamas, che ha chiesto alle scuole dell’Onu di cancellare dai programmi qualunque riferimento alla Shoah) non solo aiuta enormemente la propaganda di Israele ma fa temere che quanto sperano i palestinesi sia proprio un altro Olocausto.
Smetterla con certi infantilismi, quindi, conviene a tutti ma in primo luogo ai palestinesi e alla loro credibilità. Ma c’è un’altra speranza: che la presa di posizione di Abu Mazen serva anche a “coprire” chi, nel mondo palestinese su posizioni di illuminata e isolata avanguardia, ha già cercato di onorare la realtà storica e le sofferenze degli ebrei.
E prima di Abu Mazen
Si è molto parlato, nei giorni scorsi, di Muhammed Dajani, il professore palestinese di americanistica che ha portato i propri studenti in visita ad Auschwitz. Dajani è stato prontamente sconfessato dalle università Al Quds di Gerusalemme e Bir Zeit di Ramallah, ma Abu Mazen non aveva ancora parlato.
Nessuno ha ricordato che, molto prima di Dajani e di Abu Mazen, aveva ripetutamente preso iniziative simili l’arcivescovo melchita di Nazareth, Elias Chacour, palestinese ma cittadino di Israele, da poco dimissionario per il raggiunto limite di età dei 75 anni. Paladino della non violenza, candidato per tre volte al Premio Nobel per la pace, eletto “uomo dell’Anno” in Israele nel 2001, Chacour ha sempre lavorato per riconciliare ebrei e i palestinesi, pur continuando a esprimere critiche alla politica dello Stato d’Israele. Inutile dire che i viaggi ad Auschwitz delle scuole della sua diocesi gli avevano attirato un pioggia di critiche di parte palestinese.
Per loro, e per i tanti come loro che non hanno finora avuto il coraggio di esprimersi, le parole di bu Mazen non sono solo parole.
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