ORBAN, PUTIN, ERDOGAN LA DEMOCRAZIA NON SERVE

Viktor Orban e democraziaViktor Orban, premier dell'Ungheria dal 2010.

Nel giro di pochi giorni abbiamo assistito, nell’ordine, a: l’ascesa a razzo degli indici di gradimento di Vladimir Putin in Russia; il trionfo elettorale di Recep Erdogan in Turchia; l’analogo trionfo elettorale di Viktor Orban (circa 140 seggi sui 199 del Parlamento) in Ungheria. Paesi assai diversi, certo, ma leader accomunati da accuse assai simili: autoritari, nazionalisti, demagoghi, scarsamente o per nulla fedeli agli ideali della democrazia.

Accuse in gran parte veritiere, sia chiaro. I tre non sono dai fan della democrazia. E’ molto curioso, però, il fatto che nessuno ricordi mai che Putin, Erdogan e Orban hanno un’altra cosa in comune: tutti e tre, nel loro periodo al potere, hanno migliorato le condizioni di vita dei loro connazionali. Erdogan è al potere dal 2003 e in questi anni il Prodotto interno lordo del Paese è cresciuto alla media del 5-6% l’anno. Per sintetizzare: con Erdogan la Turchia è passata dal rango di Paese in via di sviluppo a Paese sviluppato, decisivo negli equilibrii internazionali e snodo fondamentale nel traffico Est-Ovest delle risorse energetiche. La nazione che era nelle mani dei generali dell’esercito, e che subì quattro colpi di Stato in meno di vent’anni, oggi vota e sceglie.

Della Russia si sa altrettanto. Nei primi dieci anni di potere di Putin, è stato calcolato, la ricchezza media dei russi è cresciuta del 10%. Certo, il Cremlino si è appoggiato a gas e petrolio e la riconversione industriale è molto, molto incompleta. Ma questo ai russi interessa poco: loro devono mangiare oggi, stasera, non tra qualche anno. Democrazia o no.

L’Ungheria e la democrazia

E Orban? Dei tre è forse il peggiore, dal punto di vista dei”fondamentali” dello Stato liberale: ha di fatto cancellato la Corte Costituzionale, eliminato l’autonomia della Banca centrale, remato in ogni modo contro il libero mercato. Ma l’Ungheria ha saldato il debito che aveva con Il Fondo Monetario Internazionale, e ora sta per uscire dalla procedura d’infrazione della UE, avendo chiuso il 2013 con un rapporto tra deficit e Pil del 2,2%, inferiore al 3% massimo imposto da Bruxelles. E negli ultimi tre mesi del 2013, il Pil è cresciuto del 2,7% su base annua, l’incremento più sensibile degli ultimi sette anni.

Vorrei essere chiaro: i tre sono quel che sono. Ma possibile che non ci venga mail il dubbio che la democrazia, come la intendiamo noi, è forse un valore sopravvalutato? E che non possiamo farne il criterio unico di interpretazione e misura (più democrazia uguale bene, meno democrazia uguale male) degli affari altrui? Possiamo davvero chiedere a russi, turchi e ungheresi di campare male e mangiare quando capita solo per difendere quei valori che, a ben vedere, noi abbiamo solo ereditato?

Nel 1992 Bill Clinton divenne presidente per la prima volta sfruttando uno slogan ch’era stato in origine elaborato da uno dei suoi strateghi, James Carville, per i meeting con i volontari della campagna. Lo slogan divenne pubblico e fu di fatto la bandiera dell’intera corsa presidenziale. Nella democraticissima e liberale America, quello slogan diceva: “It’s the economy, stupid!”. E’ l’economia, stupido!

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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