Le cancellerie di una buona parte del mondo da qualche settimana si scervellano su quella che, al momento, è solo un’indiscrezione, piena però di spunti “golosi”. Russia e Iran avrebbero in mente uno swap “merci per petrolio” (merci russe in cambio di petrolio iraniano) del valore di circa 1,5 miliardi di dollari al mese, ovvero 500 mila barili di petrolio al giorno al prezzo di circa 100 dollari a barile, più o meno pari a quello di mercato.
Ovviamente negano tutti: portavoce dei due Governi, dirigenti dei colossi petroliferi russi, khodi ovvero capi e capetti delle grandi aziende statali iraniane. Ma l’affare sarebbe ghiotto per entrambi, oltre che politicamente lecito, visto che la Russia non ha mai aderito all’embargo contro l’Iran, quindi non violerebbe alcun patto internazionale.
Evidenti i vantaggi per l’Iran: potrebbe aggirare le sanzioni, varate da Usa e Unione Europea nel 2011; le sue esportazioni di petrolio, crollate da 2,5 milioni a 1 milione di barili al giorno proprio a causa dell’embargo, avrebbero un incremento del 50% in un sol colpo; la resa economica farebbe impallidire anche quei 7 miliardi di dollari che gli ayatollah sperano di recuperare dall’alleggerimento delle sanzioni deciso dagli Usa in dicembre.
E per la Russia? Certo, ci sono i calcoli politici, ovvero la possibilità di “pesare” in una regione cruciale come il Medio Oriente, che Vladimir Putin ha di certo fatto e rifatto. Ma dal punto di vista economico? Bisogna tener presente che le esportazioni di gas e petrolio equivalgono, per il Cremlino, al 50% di tutti gli introiti dello Stato. Un equilibrio che ora è messo a rischio da alcuni fattori che possono cambiare il mercato. Proviamo a elencarli:
- il prezzo del petrolio non cresce, come speravano i russi, perché la crisi globale non è ancora superata
- nuovi Paesi, in particolare Iraq, Brasile e Libia, stanno diventando concorrenti pericolosi sul mercato del petrolio…
- … e nuovi concorrenti stanno affacciandosi sul mercato del gas naturale: Australia, Usa, Canada e alcuni produttori dell’Africa dell’Est
- è un’ipotesi remota ma… lo stesso Iran, se le sanzioni dovessero essere del tutto abrogate, aumenterebbe la propria quota di export petrolifero. Il che, con quanto detto prima, potrebbe far calare i prezzi
- nell’America del Nord, e soprattutto negli Usa, aumenta l’importanza dello shale oil estratto dalle rocce, altro fattore che va contro la politica dei prezzi alti.
Se l’accordo tra Russia e Iran andasse in porto, il Cremlino avrebbe almeno tolto dal mercato una quota non secondaria di petrolio iraniano. Che potrebbe poi girare alla Cina, per completare forniture già concordate ma che che l’industria petrolifera russa fatica a garantire. Altro vantaggio “di scorta” sul lungo termine: se le sanzioni contro l’Iran fossero un giorno totalmente abolite, la Russia avrebbe gli svantaggi di cui sopra, ma sarebbe in prima fila per fare affari con un Paese ricco di petrolio ma povero di quasi tutto il resto. Ed è una prospettiva a cui, piaccia o no, guarda un sacco di Governi.