La lunga polemica a tre, Ucraina, Unione Europea e Russia, si è chiusa nell’unico modo possibile: la Russia ha offerto di più e subito (15 miliardi pronta cassa, sotto forma di acquisto di buoni del tesoro ucraini, più uno sconto di circa il 30% sul prezzo del gas), l’Ucraina si è precipitata a formare l’accordo, la Ue s’è ritirata scornata.
Naturalmente adesso fioriscono i luoghi comuni su Putin imperialista, sulla Russia che si è comprata l’Ucraina e altre amenità simili. Si nota, però, anche qualche commento più serio e professionale. Per esempio, quello del ministro degli Esteri della Germania, Walter Steinmeier, che ha accusato i vertici della Ue di aver “sottovalutato i legami storici di Kiev con Mosca”. Legami che non risalgono all’Urss ma a molto prima (fu la Rus’ di Kiev, per dire, a cristianizzare i principati della Moscovia) e che in ogni caso, attraverso i secoli, sono precipitati in una realtà politico-economica che solo gli sciocchi potevano sottovalutare: di 4.600 chilometri di confine terrestre, l’Ucraina ne ha 1.600 con la Russia. La Russia vale per l ‘Ucraina il 21-22% sia dell’import sia dell’export; quasi il 100% delle risorse energetiche necessarie all’Ucraina arrivano dalla Russia.
Questo vuol dire che il sogno europeista di una parte della popolazione ucraina sia folle o da archiviare? No, nell’uno come nell’altro caso. A Ovest del fiume Dnepr c’è un’Ucraina che è già europea, nella storia, nello spirito, nell’ambizione e pure nell’economia, vista la prevalenza dei servizi sugli altri settori economici. E non v’è dubbio che il suo futuro, anche economico, possa essere solo in Europa. Così come è legittimo che la Ue guardi all’Ucraina per la propria estensione: è molto più europea la storia dell’Ucraina che non quella della Turchia o di Israele, che qualche bello spirito avrebbe voluto o vuole trasportare in Europa.
Però va detto che la Ue non avrebbe potuto gestire questa vicenda in modo peggiore. Prima ha sottovalutato tutto quanto detto prima. Poi ha posto la condizione (inaccettabile per qualunque Stato sovrano) della liberazione dell’ex premier Tymoshenko, condizione che è servita da ottima scusa per tirarsi indietro all’attuale regime di Yanukovic; infine, si è fatta prendere in un’asta in cui non poteva tenere il passo della Russia. Quando il Governo di Kiev ha chiesto 20 miliardi di aiuti, a Bruxelles si sono messi le mani nei capelli. Il Cremlino ne ha sganciati 15 senza battere ciglio.
A Bruxelles, soprattutto, non si sono resi conto che per il Governo ucraino questa trattativa non aveva il valore di una scelta a lungo termine ma di un’ultima, disperata risorsa. Con quasi il 25% di popolazione sotto la soglia della povertà, e un Prodotto interno lordo per persona pari a circa 5.500 euro l’anno, il Paese è sull’orlo di un collasso che incombe da almeno un decennio, cioè da quando, nel 2004, la cosiddetta Rivoluzione Arancione, sponsorizzata dagli Usa, portò al potere prima Yuschenko e poi la Tymoshenko. I risultati furono pessimi, e quelli del loro rivale Yanukovic, diventato presidente nel 2010, non sono stati migliori. Pochi, maledetti e subito, ecco qual era l’imperativo di Yanukovic e soci. L’Europa della nebbia politica non l’aveva proprio capito.