Tra il 2005 e il 2012 ben 179 navi sono state abbordate e dirottate nelle acque al largo della Somalia, e per riscattarle sono stati pagati ai pirati più di 400 milioni di dollari. Sono cifre impressionanti per chi dovesse pensare che la pirateria è un’attività superata. Ad approfittarne sono soprattutto i finanziatori degli abbordaggi, che stanno a terra, non corrono rischi e, in cambio del capitale investito, ricevono tra il 30 e il 50% del riscatto ottenuto dai pirati. Riscatto che, in media, supera i 2 milioni di dollari.
Sono le cifre che si possono ricavare da uno studio (Pirate Trails: Tracking the Illicit Financial Flows from Piracy off the Horn of Africa) promosso da Banca Mondiale, Interpol e Unodc, insieme con molte altre informazioni sui delicati equilibrii che reggono il business della pirateria del Corno d’Africa. Gli abbordaggi sono drasticamente diminuiti dopo l’annata record del 2011, grazie ai pattugliamenti nell’Oceano Indiano e alla presenza di distaccamenti armati sulle navi mercantili.
Ma il rapporto merita di essere letto anche perché, attraverso le cifre, ci fa intuire quale sia la vitaccia del pirata odierno. Il suo salario, per esempio, varia da 30 a 75 mila dollari per missione, con un bonus che può arrivare anche a 10 mila dollari per chi sale per primo a bordo della nave da abbordare o per chi arrivato già armato o dotato di una scala.
Sembrano tanti soldi, se misurati sullo sfondo di un Paese come la Somalia, tormentato dalle guerre civili e dalle carestie. Ma ci sono condizioni che potremmo definire da “capestro”, se la parola non avesse un suono sinistro. Per dire: i pirati somali, come quasi tutti i somali, sono grandi consumatori di qat, una foglia eccitante da masticare. Gli organizzatori degli abbordaggi distribuiscono qat ai loro uomini, ma la droga masticata viene registrata e poi, a missione conclusa, puntualmente fatta pagare. Purtroppo per i pirati, il prezzo in mare è il triplo di quello sulla terra.
Ancora: anche il cibo consumato viene dedotto dalla paga, e ci sono multe fino a 5 mila dollari per coloro che trattano male l’equipaggio sequestrato. Per i pirati lontani da casa ci sono telefoni satellitari a noleggio, peccato che il prezzo sia doppio di quello normale a terra. E poi, naturalmente, ci sono le “mance” da dare alle milizie che controllano i porti dove le navi sequestrate attraccano mentre si tratta per il riscatto: a Haradhir, un porto a Nord di Mogadiscio, gli shaabab pretendevano dagli organizzatori il 20% dell’incasso finale.
Ma con questo ci si affaccia già sul giro grosso. Un abbordaggio di una certa importanza costa intorno ai 30 mila euro, che vengono forniti di solito da un pool di quattro o cinque investitori, veri professionisti con agganci in Somalia ma con i conti correnti a Gibuti, in Kenya o negli Emirati Arabi. Solo loro che poi, come detto in partenza, si tengono tra il 30 e il 75% del riscatto. Dura la vita del pirata.