Era chiaro che l’abolizione dell’Imu, fulcro propagandistico dell’ultima campagna elettorale di Silvio Berlusconi, sarebbe diventata l’ennesima tassa da pagare alla preziosa “agibilità politica” del Cavaliere. Nei provvedimenti appena concepiti dal duo Letta-Alfano c’è in trasparenza tutto il ventennio berlusconiano: proporre un provvedimento che ha senso solo nella caccia al consenso, imporlo, poi far pagare ai contribuenti le conseguenze, usando giornali e Tv per far creder loro che abbiano fatto un affare.
Così, adesso tolgono l’Imu sulla prima casa (anche se era stato un Governo Berlusconi a introdurla, anche se ovunque in Europa è in vigore una tassa simile) e aprono un buco da 2,5 miliardi di euro nel già travagliato bilancio dello Stato. Per colmarlo, dicono, faranno spending review (cioè tagli) e caccia all’evasione fiscale. Ma i tagli, visto che sulle spese della politica si interviene poco e male, saranno realizzati nei servizi al cittadino: il che vuol dire che, per avere ciò che abbiamo adesso, dovremo pagare di più. O rinunciare. Quanto alla caccia agli evasori… ma voi ci credete? Dopo decenni di promesse in questo senso e dopo gli scudi fiscali di Tremonti?
Più verosimilmente, il buco aperto dalla cancellazione dell’Imu sarà coperto in altro modo. Forse, come dice il viceministro alle Finanze Fassina, con l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%, già programmato e poi rinviato al 1 di ottobre. Il PdL dice che non ci sarà alcun aumento dell’Iva, nel qual caso, per bloccarlo fino a fine anno, servirà un altro miliardo in più. Quindi: o si aumenta l’Iva, provvedimento forse inevitabile ma perverso perché si scarica senza distinzione su tutte le fasce sociali e perché deprime i già depressi consumi, o si spera che la famosa Tares (Tassa di servizio) faccia i miracoli dal 2014.
Peccato che la Tares sia, appunto, una tassa. Cioè, togliamo una tassa per introdurne un’altra. Un colpo di genio, no? Soprattutto perché non è affatto detto che lo scambio Imu-Tares si risolva in un calo dell’imposizione fiscale. Al di là della ragioneria, comunque, della Tares colpisce l’impostazione, almeno per quel che se ne sa. Da un lato, con la Tari (tassa sui rifiuti solidi urbani) andrà a colpire chi, a qualsiasi titolo, produrrà più rifiuti urbani. Detto così sembra un provvedimento di giustizia, in realtà è un potenziale disastro. Perché a produrre più rifiuti sono le attività commerciali e industriali da un lato, e le famiglie dall’altro. La Tari, quindi, andrà tutta a a favore di single, coppie senza figli e anziani, cioè di coloro che, salvo i pensionati con la minima, già hanno meno problemi economici e colpirà invece duramente chi guarda alla fine del mese come a un traguardo.
L’altra metà della Tares sarà la cosiddetta Tasi, cioè una tassa sui servizi pubblici come l’illuminazione delle strade, i parchi ecc. ecc. Sarà pagata sia dai proprietari sia dagli inquilini e funzionerà come la sorella Tari, con gli stessi difetti. Quindi, dietro questo ennesimo parto del berlusconismo e dietro questo ennesimo pasticcio del Pd, c’è anche un mutamento di filosofia fiscale che fa rabbrividire. Perché la prima casa (quella su cui si scaricava l’Imu) è fuor di dubbio una proprietà personale e solo personale. Mentre la resistenza delle famiglie, che pagano il grosso delle tasse, realizzano il grosso dei consumi e facendo figli tengono la popolazione oltre la soglie in cui è ancora possibile pagare le pensioni e far funzionare il Paese, è un bene di tutti. Masochismo collettivo pro Berlusconi, ecco che cos’è.