Ormai anche i sassi hanno capito che la semplice procedura elettorale non basta a fare una democrazia, a dispetto delle favole che per un decennio ci ha raccontato la destra di ogni Paese. Non è bastata in Irak, dove sono comunque caduti sul campo 32 soldati italiani, insieme a 3 civili, e non è bastata in Afghanistan, dove invece i militari italiani caduti sono stati finora 52. Lo dimostra, tra l’altro, anche il più recente rapporto Onu sulla corruzione in Afghanistan, che dipinge un quadro a dir poco desolante.
Nel 2012 la corruzione è costata al Paese (e ha fruttato ai disonesti) poco meno di 4 miliardi di dollari: un’enormità, soprattutto se si pensa che il Prodotto interno lordo afghano (cioè, tutta la ricchezza prodotta dall’intero Paese) vale meno di 20 miliardi di dollari. Il bottino accumulato dai corrotti, tra l’altro, è cresciuto del 40% nei soli ultimi tre anni. Il legame della corruzione con la democrazia emerge pienamente se si considera questo elemento: il 30% degli afghani ha denunciato di aver dovuto pagare una “bustarella” in transazioni private, ma addirittura il 50% ha denunciato la stessa cosa a proposito dei servizi pubblici.
La corruzione, per quanto sembri bizzarro, ha anche connotazioni regionali. L’Ovest e il Nord-Est dell’Afghanistan sono più colpiti dalla corruzione dei pubblici uffici: da quelle parti, una percentuale che oscilla tra il 60 e il 70% dei cittadini denuncia grandi e piccole estorsioni da parte dei pubblici ufficiali. Al Sud, invece, è più diffusa la corruzione “privata”, soprattutto nei villaggi da parte di anziani, mullah ed estorsori che in un modo o nell’altro si richiamano ai talebani.
Per finire: è ormai radicata nella testa degli afghani l’idea che la corruzione sia parte integrante del sistema. Nel 2009 solo il 42% degli afghani riteneva accettabile il fatto che un impiegato pubblico mettesse insieme un secondo salario pretendendo mance e bustarelle per fare il proprio lavoro; nel 2012, la percentuale è salita al 68%. Allo stesso modo, nel 2009 solo il 41% degli afghani giustificava il fatto che un impiego pubblico fosse assegnato sulla sola base dei legami famigliari o di clan e non anche sul merito e sulla capacità; nel 2012, quella quota è arrivata al 67%.