SOLDI AI PARTITI, ECCO PERCHE’ SI’

E se non fosse una buona idea? Anzi: e se abolire il finanziamento pubblico ai partiti fosse una cattiva, magari una pessima idea? Sì, lo so che nell’aprile del 1993 un referendum promosso dai radicali mostrò che il 90,3% dei votanti era favorevole all’abrogazione. D’altra parte, si era all’indomani di Tangentopoli, quindi…

E so ancor meglio che nel sentire comune dei cittadini il finanziamento pubblico è sinonimo di soldi rubati o spesi male o destinati a quel fiume di privilegi grandi e piccoli (dallo yacht alle abbuffate in pasticceria) di cui giornali e Tv hanno dato negli ultimi anni ampio e giustificato resoconto. Soldi comunque sottratti alle tasche della collettività per finanziare il comodo di pochi.

Però andiamo con ordine. Intanto, il fatto che qualcuno approfitti del sistema non significa, necessariamente, che il sistema sia da buttare. Molti evadono le tasse ma non per questo si chiede l’abolizione del fisco. Ci fu un periodo in cui si andò in caccia dei falsi invalidi, ma nessuno pensò ad abolire sussidi e pensioni di invalidità. Conosciamo tutti automobilisti che passano col rosso, ma sarebbe un guaio radere al suolo i semafori. Ed è un triste e disperato Paese quello che, per gettare l’acqua sporca, butta a terra anche il bambino.

Secondo: finanziare i partiti solo attraverso una contribuzione privata significa, di fatto, consegnare la politica ai miliardari. Berlusconi, certo, ma non solo: chiunque sia molto ricco può crearsi e finanziarsi un partito. Con cui, naturalmente, proteggere quegli interessi concreti e individuali di cui i miliardari sono sempre portatori.

 Qualcuno dirà: ma negli Usa è già successo che un miliardario s’improvvisasse politico senza per questo avere successo. Ross Perot, per esempio, che si candidò alla presidenza nel 1992 e nel 1996, due volte sconfitto da Bill Clinton. Il fatto è che negli Usa tutti i candidati alla presidenza sono miliardari o dispongono di fondi miliardari. E tra i membri del Congresso, che per il 40% sono miliardari pure loro, è considerato un titolo di straordinario valore riuscire a farsi eleggere contando solo sul (relativamente modesto) finanziamento pubblico.

Infine: non caschiamo nella trappola di credere che l’Italia sia il solo Paese che finanzia i partito con soldi pubblici. Nell’Europa meridionale, su 24 Paesi solo 2 negano qualunque forma di sostegno ai partiti, e sono Andorra e Malta. Nell’Europa del Nord, nessuno degli 11 Paesi nega un sostegno. Nell’Europa occidentale (12 Paesi) una sola nazione non prevede alcun tipo di finanziamento: la Svizzera. E nell’Europa dell’Est (12 Paesi), solo Belorussia, Moldavia e Ucraina lasciano i partiti senza fondi.

Quindi: Andorra, Malta, Svizzera, Belorussia, Moldavia e Ucraina contro, tutti gli altri Paesi d’Europa a favore. Sarà un caso? E’ senz’altro possibile, come ogni tanto ci capita di credere, che noi italiani la sappiamo più lunga di (quasi) tutti gli altri. Ma forse no, forse ci stiamo sbagliando. Forse ciò che fanno gli altri in grande maggioranza, cioè offrire un finanziamento pubblico ai partiti, è semplicemente la cosa giusta da fare.

Sarebbe più saggio affrontare la questione da un altro punto di vista: per esempio, finanziare l’attività dei partiti politici in misura minore e, soprattutto, senza lasciare che l’accettabilità delle loro spese sia certificata solo… da loro stessi, ma sia verificata da un’autorità superiore alle parti e ai loro interessi. La Corte dei Conti, per esempio. Un limite e un controllo, insomma. Proprio le cose semplici e funzionali che i Paesi civili sanno mettere in atto senza grossi traumi. Sono i Paesi inefficienti e sospettosi quelli che preferiscono fare tabula rasa.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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