EGITTO, DOVE LA CURVA FA POLITICA

I giocatori dell'al_Ahli fuggono allo scoppio della violenza nello stadio di Port Said.

La strage di Port Said (dove il 2 febbraio 2012 74 tifosi di una squadra di calcio del Cairo, l’al-Ahli, furono uccisi dopo una partita peraltro vinta dalla squadra locale, il Masry) e le sue conseguenze di queste ore (processi, condanne, tumulti), ci ricordano che il calcio, in Egitto, è stato ed è, oltre che  una grande passione popolare, anche la valvola di sfogo, spesso violento, di tensioni che sono politiche e sociali. E non di rado, più sottilmente, il campo in cui molti protagonisti scelgono di giocare la partita decisiva, quella del potere. Per rendersene conto, basta ricordare questo: sul banco degli imputati per la strage siedono 73 persone, ma 9 di loro sono poliziotti e 3 funzionari della squadra di calcio cittadina.

I giocatori dell'al_Ahli fuggono allo scoppio della violenza nello stadio di Port Said.

Il Tribunale egiziano ha voluto dare una lezione esemplare, chiedendo 21 condanne a morte, e il feroce assalto alla prigione da parte dei parenti degli imputati è stato respinto con pari forza e violenza. Ma la coincidenza con  i cortei del Cairo, con le folle che chiedono a gran voce l’uscita di scena del presidente Morsi tra le cariche della polizia e con i morti e i feriti per le strade, è molto significativa, soprattutto nel secondo anniversario dei moti di piazza Tahrir che innescarono la rivoluzione egiziana e portarono alla caduta di Mubarak.

Gli ultras dell’al-Ahli, la squadra cairota cui appartenevano i tifosi uccisi a Port Said, ne sono la dimostrazione. Organizzati e aggressivi, sono in grado, come succede alle frange estreme del tifo di tutto il mondo, di condizionare l’ambiente che ruota intorno allo sport: nel settembre scorso, un centinaio di loro fece irruzione negli studi di una televisione nazionale per interrompere un programma che criticava, appunto, il tifo violento. Ma nello stesso tempo, questi tifosi sono noti per essere stati in prima fila fin dalle manifestazioni iniziali di piazza Tahrir, due anni fa.
Non solo. A causa della strage di Port Said, la partenza del campionato egiziano di calcio ha subito un rinvio, deciso appunto per timore di nuovi scontri. Nel periodo senza partite, gli ultras dell’al-Ahli hanno ripetutamente “attaccato” la sede della loro stessa società, prendendo in particolar modo di mira Hassan Hamdy, presidente del club che, per il solo fatto di poter vantare quasi 50 milioni di tifosi, è di per sé una potenza anche extra-calcistica.

Hassan Hamdy, presidente dell'al-Ahli.

Proprio quello di Hamdy è un caso da manuale delle commistioni tra calcio e politica che turbano, non solo da oggi, l’Egitto. Giocatore dell’al-Ahly e della Nazionale egiziana (di cui fu anche capitano) negli anni Sessanta e Settanta, è presidente del club dal 2000. Con lui, l’al-Ahly ha vinto quattro volte il campionato egiziano e la Coppa d’Africa, diventando la squadra di calcio più titolata del Paese. Perché dunque i tifosi non lo amano? Il fatto è che Hamdy è anche presidente della concessionaria pubblicitaria del gruppo al-Ahram (Le piramidi), che pubblica tra l’altro il quotidiano omonimo, il più noto e diffuso in Egitto.

Il gruppo editoriale al-Ahram, però, ha tra gli azionisti lo Stato e infatti si è distinto, nei due anni della Primavera araba egiziana, per l’estrema “moderazione” con cui ha affrontato e criticato prima le azioni di Mubarak e poi quelle dei Fratelli Musulmani nel frattempo saliti al potere. Si spiegano più con la politica che con lo sport, quindi, gli assalti alla sede di al-Ahli da parte degli ultras, che non a caso hanno più volte accusato Hamdy di essersi illecitamente arricchito con le attività della concessionaria pubblicitaria. Un modo neppur tanto velato di mettere sotto accusa la corruzione delle autorità e di contestare “da sinistra” gli attuali assetti di potere.
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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