Le cifre sono spietate: dal 2009, quasi 15 mila africani sarebbero stati rapiti nel deserto del Sinai e almeno 3 mila sarebbero morti di stenti, violenze e torture. Sudanesi, eritrei e somali in fuga da guerre, miseria e dittatori puntando a Nord: prima verso il Mediterraneo, chiuso però nel 2008 dagli accordi sui respingimenti firmati da Berlusconi e Gheddafi, poi verso Israele. Nessun numero, però, è spietato come il silenzio del mondo. Come il fatto che solo pochi generosi abbiano provato a “sporcarsi le mani” con questo mare di dolore.
Una di loro è suor Aziza, al secolo Azezet Habtezghi Kidane, eritrea, la religiosa comboniana che ha ricevuto da Hillary Clinton, segretaria di Stato degli Usa, il prestigioso titolo di “Eroe della lotta al traffico di esseri umani”. Un riconoscimento ancor più grande, però, le arriva da tanti disperati: il numero del suo cellulare conservato come un tesoro prezioso e fatto circolare come un lume di speranza tra coloro che hanno perso tutto.
«In realtà io sono un’infermiera», racconta suor Aziza: «Prima di venire qui, in Israele, ho lavorato a Giuba, nel Sud Sudan, sotto i bombardamenti, negli ospedali per le malattie infettive, e poi in Giordania, all’Italian hospital. Tre anni fa, sempre come infermiera, ho iniziato a collaborare con Medici per i diritti umani, nella clinica di Tel Aviv-Jaffa. Il direttore e gli altri capivano, ovviamente, che c’era qualcosa di strano: strane ferite, segni di tortura… Ma per il problema della lingua e l’enorme mole di lavoro, non riuscivano ad approfondire. Così, visto che parlo arabo, tigrino, amarico e diversi dialetti sudanesi (oltre a un italiano quasi perfetto, inglese e francese, ndr), mi hanno chiesto di seguire i nuovi arrivati, svolgendo però con loro anche una serie di questionari».
– E così ha scoperto che…
«All’inizio poco, le persone erano diffidenti e le nostre domande poco efficaci. Poi, piano piano, si è creata confidenza e di notizia in notizia abbiamo potuto ricostruire il quadro generale. Un quadro orribile».
– Che cosa l’ha colpita di più?
«Intanto, la vastità del traffico. I migranti, appena arrivano in Egitto, sono costretti a pagare i trafficanti per passare in Israele attraverso il deserto. Per chi arriva dal Sudan, ad esempio, la tariffa va da 1.700 a 3.500 dollari. Una montagna di denaro che alimenta un’organizzazione criminale imponente: ci sono almeno 15 centri di smistamento nel deserto del Sinai. E poi l’incredibile crudeltà delle torture».
– Quali torture? E comunque perché tanta violenza su gente inerme?
«Moltissimi dei migranti non possono pagare quanto preteso dai trafficanti. Così sono sequestrati e torturati finché i parenti o gli amici non sborsano un riscatto. E ciò che sono costretti a subire, lo ripeto, è incredibile. Stanno quasi sempre legati. Li picchiano con tubi di gomma o sono tormentati con scariche
elettriche al ventre o ai piedi. Gli fanno sgocciolare gomma fusa addosso. Li legano per le mani, li sollevano in punta di piedi e li lasciano così per ore e ore, e intanto li picchiano. Molti sono morti dopo essere stati abbandonati nudi al sole del deserto».
– E le donne?
«Per loro la forma di tortura più frequente è l’abuso sessuale. Le violentano, oppure obbligano altri a violentarle. O le torturano con bastoni o ferri. Incontriamo molte donne che vogliono abortire dopo essere state violentate. Spesso riusciamo a convincerle a non farlo, e in questo è di grande aiuto la nursery che abbiamo aperto grazie al contributo della Caritas italiana. Le madri si sentono protette e possono lavorare e guadagnare qualcosa mentre i loro figli sono comunque seguiti».
– Che cosa servirebbe, adesso?
«Questo è angosciante: nessuno può dire di non sapere. Abbiamo anche scritto una lettera, firmata da tutti i vescovi della Terra Santa, al presidente egiziano Mohamed Morsi. Ma nessuno fa niente. Se fossero sequestrati e torturati due americani, il mondo si solleverebbe. Ma poiché si tratta di migliaia di africani…
O sbaglio?».