Una delle grandi sfide del 2013 si giocherà intorno ai farmaci e all’industria dei medicinali, una delle poche a non conoscere stagioni di crisi. La richiesta è infatti duplice: da un lato, le società opulente registrano aumenti costanti nelle malattie croniche (cancro, diabete, disturbi cardiovascolari) e chiedono strumenti di cura sempre più efficaci e raffinati; dall’altro, le società emergenti si confrontano con popolazioni che, insieme con il benessere economico, sviluppano richieste sempre più pressanti e ineludibili di benessere anche fisico.
Le due richieste, però, sembrano inconciliabili. L’industria farmaceutica è sviluppata soprattutto nei Paesi sviluppati, le cui industrie temono la concorrenza delle rivali dei Paesi emergenti, cioè dei Paesi che non possono permettersi l’importazione massiva dei farmaci prodotto in Occidente. La temono a tal punto da esercitare un’azione di lobbyng che non ha uguali in alcun altro settore produttivo. Secondo il Centre for Responsive Politics, un gruppo indipendente di ricerca che tiene traccia di tutti gli “investimenti” in politica negli Usa, l’industria farmaceutica americana avrebbe speso, negli anni tra il 1998 e il 2005, ben 900 milioni di dollari in azioni di lobby per garantirsi una legislazione favorevole.
Ma la battaglia vera si combatte sul terreno dei brevetti. Colpiti da calamità che non riescono a controllare (per esempio, la diffusione dell’Aids nell’Africa sub-sahariana) o semplicemente desiderosi di partecipare a una fonte apparentemente inesauribile di guadagni, le industrie dei Paesi emergenti, quasi sempre in accordo con i rispettivi Governi, hanno cominciato ad attaccare l’industria occidentale sul terreno della proprietà intellettuale. La prima decisione davvero clamoroso in questo senso fu presa dalla Commissione per la concorrenza del Sudafrica che nel 2003 condannò due multinazionali (Boehringer Ingelheim e Glaxo Smith Klein) per “per aver abusato dei brevetti farmaceutici” e aver praticato prezzi eccessivi sui farmaci anti-Aids. La polemica era rovente perché in quel periodo in Sudafrica morivano quasi 600 persone al giorno per l’Aids: l’intervento della Commissione, quindi, fu visto come qualcosa tra la difesa della sovranità nazionale e la rivolta anti-occidentale più che come una regolazione degli equilibrii commerciali.
Più o meno nello stesso periodo la battaglia si è trasferita in India, Paese che fino al 2005 non ha riconosciuto alcuna forma di “diritto d’autore” sui farmaci. Qui, però, la questione è molto più sfumata e complessa. Il Sudafrica non ha una grossa industria farmaceutica nazionale e quindi la sua presa di posizione contro l’esclusività dei brevetti acquistava inevitabilmente il carattere della questione di principio, anzi della questione morale “vite umane” contro “guadagno”. L’India, al contrario, ha una potente industria nazionale e un mercato interno redditizio. E’ stato calcolato che la richiesta di farmaci degli indiani potrebbe valere quasi 60 miliardi di euro entro il 2020, quindi è chiaro che rispettare o no i brevetti in questo caso vuol dire anche decidere in quali tasche finiranno profitti enormi.
Anche in India la parola è passata ai tribunali. Novartis, il gigante svizzero, attende le decisioni della Corte Suprema indiana a cui si è appellata per garantire i propri diritti sul Glivec, un medicinale anti-cancro che la multinazionale vende come nuovo prodotto mentre le autorità sanitarie indiane lo considerano solo la nuova versione di un farmaco già esistente. Mentre la multinazionale tedesca Bayer è ricorsa alla magistratura dopo che in marzo le autorità indiane hanno emesso un’ordinanza per costringerla a dare in licenza a un’azienda indiana, la Natco, uno dei suoi più venduti farmaci anti-cancro.
Al di là dei desideri delle aziende e delle ambizioni degli Stati, il dislivello sanitario tra le diverse regioni del mondo è troppo marcato per essere accettato. I dati sono chiari e impietosi: ogni anno muoiono 15 milioni di persone per malattie infettive, e il 97% di queste morti avviene nei Paesi del Terzo Mondo. La tubercolosi provoca ancora oltre 1,5 milioni di morti l’anno, la malaria 1,3 milioni, l’Aids 2,8 milioni, la banalissima diarrea quasi 2 milioni. Almeno 2 miliardi di persone (soprattutto in Asia e nel Sud del pianeta) non hanno accesso alle cure mediche essenziali, a farmaci che nei nostri Paesi sono comuni, per non dire banali. Che sia il desiderio di giustizia o la sete di profitto a guidare la rivolta dei Paesi emergenti, poco importa. Prima o poi doveva succedere, ed è anzi prevedibile che succederà con maggiore frequenza nel prossimo futuro, man mano che questi Paesi prendono coscienza del loro nuovo potere sulla scena del mondo.
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