EGITTO, LA PRIMAVERA NON E’ SFIORITA

Le proteste al Cairo contro il presidente Morsi.

Piacerebbe conoscere, oggi, l’opinione dei molti (ivi compresi alcuni colleghi che forse hanno sbagliato mestiere) che si sono rapidamente sbilanciati nel dire che la Primavera araba è stata tutto un bluff. Piacerebbe conoscerla mentre il presidente dell’Egitto Mohammed Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani, sta chiuso nel suo palazzo e si fa proteggere dai carri armati, mentre tutto intorno infuria la protesta degli egiziani; mentre tutti i suoi consiglieri hanno dato le dimissioni piuttosto che partecipare alle sue decisioni; mentre Rafiq Habib, vice-presidente del Partito Libertà e Giustizia (il fronte politico dei Fratelli Musulmani), cristiano copto, se ne va sdegnato; mentre persino il Grande Imam della moschea di Al Azhar, massimo centro teologico dell’islam sunnita, di nomina presidenziale, invita Morsi a sospendere il decreto con cui si è attribuito pieni poteri. Che cos’è tutto questo se non la Primavera Araba?

Le proteste al Cairo contro il presidente Morsi.

D’altra parte tale sommario giudizio veniva dagli stessi che poche righe hanno speso per mettere in questione le azioni del premier iracheno Nur al Maliki, sciita, che a un certo punto si è sbarazzato del proprio vice, il sunnita Tariq al Hascimi, più o meno inventandosi un’accusa di complotto e costringendo il rivale e critico all’esilio. A Baghdad tutto bene, al Cairo aita aita arrivano i Fratelli Musulmani. Anche se, a voler essere proprio sinceri, le elezioni in Egitto sono state molto più affidabili, dal punto di vista delle regole della democrazia, di quelle dell’Iraq. Poi, certo, in Iraq ha vinto un nostro “amico”, e quindi va tutto bene; mentre in Egitto ha vinto un nostro “nemico”, quindi va tutto male.

Ora, se in Egitto le cose vanno solo male e non malissimo, è proprio perché una Primavera Araba è esistita ed esiste tuttora. Se in Bahrein non è ancora calato il silenzio totale sulla repressione ai danni di chi chiedeva un po’ di democrazia, realizzata dai tank dell’Arabia Saudita con il silenzio-assenso degli Usa, lo dobbiamo alla Primavera Araba. Se in Yemen e in Tunisia non ci sono più le dittature, il merito è della Primavera Araba. Se Assad se ne andrà dalla Siria (e speriamo non sostituito da qualche estremismo islamico favorito dall’insipienza di Usa, Russia e Cina), ciò accadrà perché in origine c’è stata una Primavera Araba. Se le monarchie di Giordania e Marocco hanno fatto riforme in senso democratico, il grazie va alla Primavera Araba.

Si capisce bene, peraltro, quanto sia difficile accettare questa semplice realtà. E’ molto, molto più comodo dipingere il mondo arabo come un unico covo di estremisti, donne velate e aspiranti kamikaze. Semplifica la politica estera (abbiamo le mani libere, possiamo tranquillamente esaltare Gheddafi, Mubarak e qualunque altro dittatore; allo stesso modo, basta esaltare qualunque azione di Israele, “unica democrazia del Medio Oriente”, per cavarsi d’impaccio), aiuta la politica interna (gli immigrati irregolari non sono persone che scappano dalle dittature, cioè potenziali rifugiati, ma pericolosi alieni da respingere, potenziali terroristi) e, più in generale, contribuisce alla creazione di quel “pericolo alle mura” cui sempre ricorrono i regimi inetti per giustificare i propri fallimenti.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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