SE AL QAEDA VOTA PER ROMNEY

L'assalto all'ambasciata Usa del Cairo (Egitto).

Russia, Cina, Usa. Si sapeva che per loro sarebbe stato un anno elettorale, quindi un anno difficile. A Mosca, il ritorno di Putin al Cremlino ha sollevato un’onda di dissenso mai vista in epoca postsovietica. A Pechino, il rinnovo delle massime cariche del partito e dello Stato (presidente, primo ministro, segretario politico) ha aperto una fase d’incertezza di cui fa le spese la crescita economica, calata al 7,6%, il dato peggiore degli ultimi anni.

L'assalto all'ambasciata Usa del Cairo (Egitto).

Il modo in cui gli Usa stanno pagando il loro anno elettorale è sotto gli occhi di tutti, dalla morte atroce dell’ambasciatore Chris Stevens in Libia agli assedi alle sedi diplomatiche americane in diversi Paesi islamici, fino al dispiegamento delle navi da guerra nel Mediterraneo. Misura del tutto inutile rispetto a quanto sta avvenendo, e forse anche dannosa perché contribuisce a quell’immagine della potenza imperialista che gli islamisti vogliono accreditare. Ma decisa da Obama soprattutto per ragioni elettorali, per non farsi accusare di debolezza dal rivale Mitt Romney.

La mano di Al Qaeda negli eventi è indubitabile e la si nota da due tratti tipici del suo operare: la capacità di infiltrarsi nei Paesi in crisi (Yemen, Libia ed Egitto stanno subendo cambi di regime e scosse traumatiche) e la puntualità nel mettere a segno i colpi più forti proprio quando possono produrre il massimo effetto. Come, nel caso degli Usa, durante la campagna per le elezioni presidenziali che tutto amplifica e drammatizza.

In questo modo, Casa Bianca e America intera si trovano esposte su due lati nello stesso tempo. Da una parte, è sotto attacco il presente, cioè l’assetto strategico che Obama ha costruito in quattro anni di carota e bastone, di persuasione politica e intervento militare. I Paesi più coinvolti sono proprio quelli in cui più si è vista la mano «riformista» della Casa Bianca: l’Egitto, nel dopo-Mubarak passato prima ai fidati militari poi ai Fratelli Musulmani che hanno tenuto a bada i salafiti, chiuso la frontiera con Gaza, stroncato i gruppi terroristi e le tribù loro complici del Sinai e che infatti stanno per ricevere crediti importanti dal Tesoro Usa; e lo Yemen, dove al dittatore Saleh è succeduto, in una rivoluzione morbida guidata appunto dagli Usa, il suo ex vicepresidente. Questo di Al Qaeda, dunque, è anche un attacco alla Primavera araba filo-americana.

Ma dall’altra parte, è sotto attacco il futuro dell’America. L’assassinio dell’ambasciatore Stevens è un chiaro tentativo di indirizzare le elezioni verso una vittoria della linea dura dei repubblicani. Al Qaeda non ha mai avuto tanti seguaci come quando ha potuto «vantarsi» di essere l’unico contraltare islamico alla potenza americana. Gli Usa, dunque, andavano stanati e, se possibile, riconsegnati alla pulsione dell’occhio per occhio-dente per dente, della risposta senza se e senza ma, dell’azione prima della politica. Ecco la strategia di fondo che regola gli eventi di questi giorni. Il resto, a partire dal demenziale film su Maometto, è contorno senza importanza.

È chiaro dunque che la vera partita, il vero confronto con la nuova sfida di Al Qaeda, ora non si gioca in Egitto o in Libia (dove le manifestazioni degli estremisti, che peraltro hanno già ottenuto il loro scopo, verranno presto stroncate) ma negli Stati Uniti. Tocca al popolo americano scegliere la linea di condotta dei prossimi quattro anni nei confronti di un problema, l’estremismo islamico, che non è sparito sotto le cannonate di George Bush, non è rientrato grazie alle sottigliezze di Obama e non trova peraltro argine, ma semmai incentivo, nei regimi dittatoriali del Medio Oriente che sono in prima fila tra gli alleati dell’Occidente.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 14 settembre 2012

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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