MYANMAR, IL MONACO INTOLLERANTE

Un corteo di monaci buddisti contro i Rohingya a Mandalay (Myanmar).

Per molti anni intellettuali (cosiddetti) e (pseudo) politici hanno provato a convincerci che alcune religioni sono intrinsecamente “cattive”; che chi le segue è, per conseguenza, cattivo anche lui; e che, in conclusione, fargli la guerra per primi è il miglior modo per non essere aggrediti da chi, essendo cattivo, prima o poi farà inevitabilmente il male.

Un corteo di monaci buddisti contro i Rohingya a Mandalay (Myanmar).

Poiché in Italia, Paese non solo economicamente in crisi, c’è ancora qualcuno che la mena, varrà la pena di notare quanto sta avvenendo in Myanmar (Birmania), nella patria del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, nel Paese dove i buddisti sono quasi il 90% della popolazione, i cristiani il 4 come pure i musulmani.

Dovrebbe trattarsi, a dar retta ai teorici dello “scontro di civiltà”, del Paese più pacifico e tollerante del mondo. non sono quasi tutti buddisti? Invece succede che 800 mila musulmani dell’etnia Rohingya, concentrati nella parte Ovest, sono minacciati di deportazione collettiva (un po’ come certi popoli del Caucaso ai tempi di Stalin) dopo aver subito una serie di discriminazioni molto pesanti: non hanno diritto alla cittadinanza, molti dei loro villaggi e città hanno subito una vera pulizia etnica da parte dell’esercito, 80 mila di loro sono costretti a vivere in campi profughi ai confini del Bangladesh, campi cui naturalmente è proibito l’accesso alla stampa straniera.

Più di 250 mila Rohingya sono stati spinti oltre confine, in Bangladesh, dove però non hanno status di rifugiati e sono quindi immigrati clandestini. Nel giugno scorso ci sono stati scontri tra i Rohingya e il resto della popolazione, con 87 morti, villaggi bruciati, vendette incrociate. Il che ha fatto peggiorare una situazione che da molti anni, ormai, precipita verso il disastro.

Come si sa, Myanmar è impegnato in una difficile transizione verso la democrazia, con il governo di Thein Sein, un ex generale che ha lasciato le stellette per la politica, costretto a liberare Aung San Suu Kyi e a concedere pian piano spazi di libero dibattito e iniziativa politica. Sulla questione dei Rohingya, però, sono quasi tutti d’accordo e anche la posizione dell’eroina Premio Nobel pare ai più a dir poco ambigua.

Per nulla ambigua, invece, è la posizione dei monaci buddisti. Gli stessi religiosi che nel 2007 scendevano in piazza per chiedere diritti e democrazia, in queste settimane hanno occupato le piazze delle maggiori città per chiedere  l’espulsione dei Rohingya. In un Paese-mosaico con 135 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti, non c’è posto solo per loro, i musulmani.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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