EUROPA, INTEGRARSI O SPARIRE

Angela Merkel con il premier Monti.

Non ci sono tanti modi per dirlo: dopo un decennio in cui i partiti della destra euroscettica o antieuropeista hanno dominato la scena, ci si ritrova a Roma (Monti, la Merkel, Hollande e Rajoy) e ci si ritroverà tra pochi giorni a Bruxelles sospirando quanto si sa da sempre: ci sarebbe voluta, ci vorrebbe e senz’altro ci vorrà una maggiore integrazione politica all’interno dell’Unione Europea.

Angela Merkel con il premier Monti.

E’ la scoperta dell’acqua calda ma resta una scoperta, almeno per un’Italia in cui Silvio Berlusconi, l’uomo che si considera il “leader dei moderati”, un giorno vorrebbe stampare euro con la zecca e l’altro chiede l’uscita della Germania dall’euro; mentre Beppe Grillo, il nuovo che avanza, vorrebbe addirittura che uscissimo noi dall’euro. Il tutto mentre sia i greci sia gli irlandesi (gli uni con il recentissimo voto politico, gli altri con il referendum che ha detto “sì” al Fiscal Compact), cioè i popoli che hanno potuto esprimersi direttamente, hanno chiesto ai loro politici di fare di tutto tranne che abbandonare la moneta unica.

Già vent’anni fa era evidente che, in un mondo di colossi come Usa, Cina, Russia, India, e di Paesi rampanti come mai nella storia (Brasile, Iran, Sudafrica, Israele),sarebbe stato necessario unirsi e integrarsi per mantenere certe posizioni. O anche solo per difendersi dalle turbolenze di un equilibrio planetario in radicale trasformazione: come ben ricorda il professor Moro in uno degli articoli di questo dossier, quest’ultima crisi non è nata in Europa ma negli Usa, con la folle politica del credito sulla bolla immobiliare perseguita dall’amministrazione Bush.
Integrarsi, però, è come fare la coda alla fermata dell’autobus: bisogna accettare di rimetterci individualmente per guadagnarci collettivamente. In altre parole: una sola moneta, sì, ma anche una sola politica finanziaria decisa da una sola banca centrale; un solo esercito; una sola politica estera; un vero governo europeo.
Banale ma finora impossibile. La “casta” l’abbiamo noi come gli altri. E in qualche modo lo ha dimostrato, anche durante il summit di Londra, il presidente francese Franḉois Hollande. Parlare a un francese di “cessione di sovranità” è sempre un azzardo, ma demoralizza sentire il nuovo Presidente ripetere la vecchia litania: “Sì a trasferimenti di sovranità solo se si migliora sul piano della solidarietà”.
Che vuol dire? Se la Germania apre i cordoni della borsa, accetteremo una direzione bancaria centralizzata? Come si può non capire che è proprio la mancata integrazione(cioè, il tanto temuto e mai realizzato “trasferimento di sovranità”) a impedire una vera solidarietà tra i Paesi europei? E che finché non ci sarà più integrazione non ci sarà nemmeno più solidarietà? Che finché non ci sarà un vero Governo dell’Europa ci sarà sempre una signora Merkel a fare in modo inflessibile gli interessi del proprio Governo, del proprio Stato e del proprio popolo?
In questo campo, e bene ha fatto il premier Monti a ricordarlo, nessuno può far la predica agli altri. Nemmeno la Germania, che nel 2003 denunciò sul 2002 un disavanzo di bilancio pari al 3,6% del Pil, in violazione dei trattati liberamente sottoscritti. Resta da vedere quanti altri disoccupati, giovani senza futuro, esodati e artigiani suicidi dovremo registrare prima di accettare l’inevitabile realtà degli Stati Uniti d’Europa.
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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