Come milioni di altre spettatori in tutto il mondo, mi sono goduto in Tv lo spettacolo del Gran Premio di Formula 1 disputato in Bahrein. Se fossi un cittadino del Bahrein, anzi un suddito del regno del Bahrein, invece, sarei furioso. E con buone ragioni.
Il Gran Premio si disputa in Bahrein dal 2004. E’ uno dei privilegi che si è concessa la dinastia degli al Khalifa, di fatto proprietaria del Paese. Il re attualmente in carica è Hamad bin Isa al Khalifa, mentre il capo del Governo è Khalifa bin Salman al Khalifa, suo cugino. Il Bahrein è ricchissimo di petrolio e ha solo 1 milione e 250 mila abitanti, ma non è un Paese ricco, visto che ha un tasso di disoccupazione del 15%. Sono ricchi invece gli Al Khalifa, che infatti si tengono ben stretti il potere, con ogni mezzo. Per dirne una: Reporter senza Frontiere piazza il Bahrein tra i dieci Paesi più repressivi al mondo in fatto di libertà di stampa; il voto alle donne è stato concesso solo nel 2001; l’Assemblea nazionale (40 seggi, 19 a religiosi e 12 a laici), una specie di Parlamento, ha funzioni ornamentali; i partiti politici sono banditi. E così via.
Tra le altre, il Bahrein ha ancora due caratteristiche interessanti. La maggioranza della popolazione è sciita, ma è la minoranza sunnita a dominare. I sunniti hanno la precedenza nell’assegnazione degli impieghi e delle case, i loro quartieri i primi a ottenere scuole e infrastrutture varie. Agli sciiti sono vietati i posti di rilievo nell’esercito, nella polizia e nella burocrazia statale. L’altra caratteristica sta nel fatto che il Bahrein è una specie di filiale sul Golfo Persico della marina (fa scalo qui la Quinta Flotta) e dei servizi segreti americani, sempre appostati a tener d’occhio l’Iran.
Fatto sta che il 14 febbraio 2011 (ventesimo anniversario del referendum-burla con cui la casa regnante mise fine a un’altra stagione di proteste), in coincidenza con le proteste che stavano partendo in Egitto e Tunisia, una serie di manifestazioni e cortei prese le mosse anche in Bahrein. Non poca cosa: alla più imponente delle dimostrazioni presero parte più di 100 mila persone, pari a circa il 10% dell’intera popolazione.
La risposta è stata una sola: violenza. Decine di morti, almeno 5 persone uccise in carcere con la tortura, arresti, pestaggi. Nel momento più acuto della crisi, l’Arabia Saudita, in nome di un trattato di amicizia con il Bahrein, ha mandato il proprio esercito a sparare contro i manifestanti che chiedevano più democrazia. Il tutto con la paciosa e silente benedizione degli Usa, così solerti invece nell’applauso a chi liberava Egitto, Tunisia e Libia dai rispettivi dittatori.
Ora, immaginate che cosa può pensare un suddito degli Al Khalifa quando l’Occidente, che la spiega a tutti sulla libertà e sull’indipendenza e si è commosso per gli iracheni e gli afghani e i kosovari, non solo non muove un dito. Ma poi manda il meglio della propria tecnologia e della propria ricchezza, sotto forma di bolidi dell’automobilismo, a far fare bella figura alla dittatura. E ricordiamoci di queste cose quando ci domandiamo perché sono così tanti, da quelle parti, a non volerci troppo bene.