EGITTO E USA, QUESTIONE DI SOLDI

La perquisizione dei militari egiziani nella sed del Cairo di una delle Ong incriminate.

Difficile capire perché il Governo dell’Egitto, telecomandato dalla giunta militare presieduta dal generale Al Tantawi, cerchi con tanta ostinazione il conflitto con gli Usa sulla questione delle Ong: quattro organizzazioni chiuse (due, National Democratic Institute e International Republican Institute, direttamente legate ai due grandi partiti Usa), 43 attivisti denunciati (19 sono americani, e 7 di loro sono bloccati in Egitto) e, in dicembre, una perquisizione delle sedi manu militari così esagerata da sembrare una studiata provocazione.

La perquisizione dei militari egiziani nella sed del Cairo di una delle Ong incriminate.

Circola una spiegazione: la rabbia e la tigna della signora Fayza Abul Naga, dal 2004 ministro della Cooperazione, già intima dei Mubarak, irritatissima perché gli Usa hanno aumentato, dopo la rivolta di piazza Tahrir, i fondi direttamente versati alle Ong, diminuendo in proporzione quelli assegnati attraverso il suo ministero (e il suo controllo). Più che una spiegazione, questa è una favola. E’ difficile immaginare che, solo per le ripicche di un ministro, generali come Al Tantawi siano disposti a mettere in forse 1,3 miliardi di dollari annui per le spese militari e altri 250 milioni di dollari l’anno per la cooperazione allo sviluppo, cioè quanto gli Usa versano all’Egitto dal 1979 come clausola degli accordi di pace con Israele stipulati a Camp David.

Soprattutto se consideriamo che la grancassa in vista del processo, che dovrebbe cominciare il 26 febbraio, è stata battuta da tutti i media più fedeli al regime: i quotidiani Al Ahram e Al Ghomuria e l’agenzia Mena. Slogan: le Ong come punta di lancia di un complotto americano per seminare confusione e anarchia in Egitto. Anche se poi nessuno spiega perché la Casa Bianca, che dal 1979 appunto foraggia i militari egiziani per proteggere Israele e tenere a bada i fondamentalisti, avrebbe cambiato idea di colpo.

La ministra della Cooperazione Fayza Abul Naga

Il tutto pare nel complesso abbastanza inspiegabile. O meglio: una ragione c’è ma non è ancora emersa. Possiamo fare qualche ipotesi. La mia è questa:

1. i generali egiziani sanno che la posizione dell’Egitto è l’architrave della stabilità della regione e della sicurezza di Israele, e questa consapevolezza si è rafforzata con l’accordo tra i palestinesi di Hamas e quelli di Al Fatah, siglato appunto con la mediazione dell’Egitto.

2. gli Usa possono reagire, certo, ma in concreto come? Per ora hanno mandato il generale Martin Dempsey, capo degli stati maggiori riuniti delle forze armate, a parlamentare con i colleghi egiziani. Al ritorno negli Usa, Dempsey ha così commentato la proposta del Congresso di tagliare gli aiuti all’Egitto: “Il mio personale giudizio di militare è che sarebbe un errore”.

3. l’Egitto, in questa polemica, rischia quindi poco. Quindi è possibile che i generali egiziani stiano tirando sul prezzo, in poche parole vogliano più soldi dagli Usa. E nel frattempo, accusando gli Usa di voler danneggiare il Paese, provino a tenersi buoni i Fratelli Musulmani, la forza politica uscita vincente dalle recenti elezioni. Prove di Governo a due, insomma: militari e islamisti. Uno schema che ricorda un poco la Turchia del primo Erdogan, in cui i militari si facevano garanti della laicità dello Stato. Vedremo tra non molto, e anche dal modo in cui sarà gestita la polemica con gli Usa,che strada prenderà il nuovo Egitto.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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