ISRAELE E LA CARICA DEGLI HAREDIM

Un gruppo di Haredim a Gerusalemme.

DI DANIEL LEVY – … Il nesso tra la mossa fallita dei palestinesi all’Onu e la crisi sempre più preoccupante della democrazia israeliana è assai meno tenue di quanto potrebbe sembrare. Il flop palestinese alle Nazioni Unite è una vergogna rispetto alla soluzione dei due Stati e all’emergere di un’efficace strategia non violenta dei palestinesi per ottenere la libertà. Ma, paradossalmente, è ancor più devastante per il futuro della democrazia israeliana.

Un gruppo di Haredim a Gerusalemme.

La democrazia di Israele è finita sotto un duplice attacco, al culmine di due tendenze di lungo periodo. E oggi, all’inizio del 2012, è tristemente poco chiaro se il sistema democratico sarà abbastanza solido da respingere la minaccia (soprattutto se la Palestina rimarrà sotto il controllo non democratico di Israele). La prima parte della sfida alla democrazia di Israele sta nella crescente frizione tra lo Stato e la religione, la parte ebraica di essere uno Stato ebraico democratico. Anche se non sono mai stati maggioranza in Israele, gli Haredim ortodossi e ultra-ortodossi hanno ottenuto il monopolio su una serie di questioni relative allo status personale (matrimonio, divorzio, sepoltura, ecc.), l’esenzione dal servizio militare e il finanziamento dello Stato a un sistema scolastico separato e a una rete di seminari che hanno poi fornito agli Haredim la giustificazione religiosa per ewssere esentati anche dal lavoro.

Nel corso degli anni, l’alto tasso di natalità e la coesione delle comunità hanno incrementato l’influenza degli Haredim e accresciuto la loro tendenza a ottenere per via politica una legislazione sempre più carica di benefici per loro e di restrizioni per gli altri. Un paradosso che si è tradotto in una crescente tensione presso la parte non Haredim degli israeliani, fin troppo spesso sfociata in rancore e odio verso gli ultra-ortodossi.

Gli Haredim tuttora formano circa il 10% della popolazione di Israele, ma il dato nasconde una realtà ben diversa, nascosta nel rapido cambiamento demografico del PAese: il 25% degli alunni della prima elementare sono Haredim e la percentuale cresce dell’1% l’anno. Ci sono quartieri e nuovi insediamenti (inclusi quelli sulla Linea Verde di Modin Illit e Beitar Illit, in rapida crescita) dedicati agli Haredim. La comunità Haredim mostra una grintosa fiducia nella propria causa, e qualche occasionale estremismo, su tutta una serie di problemi, dai trasporti durante lo Shabbath alla separazione tra uomini e donne sugli autobus o nelle strade dei quartieri Haredim. Negli ultimi tempi, gli scontri nella città, in parte Haredim di Beth Shemesh hanno dominato le prime pagine dei giornali israeliani.

Daniel Levy.

Il problema è complesso, qui basterà dire che l’impatto della comunità Haredim sulla democrazia israeliana non ha una risposta facile. Può tuttavia essere gestito. Lo scopo finale degli Haredim pare infatti essere più la conservazione della vita della loro comunità che non l’imposizione di una visione non democratica a tutti gli aspetti della vita della società israeliana.

Il che ci porta, però, al secondo genere di assalto alla democrazia di Israele. Anche qui, nulla di particolarmente nuovo, ma qualcosa che ha di recente innestato il turbo. Riguarda la riconciliazione della parte democratica dellequazione dello Stato ebraico democratico. Con la loro tradizione di politiche liberali e di lotta per l’uguaglianza, la maggior parte degli ebrei americani può pensare che non valga la pena di preoccuparsi della perfetta unione di “ebraico” e “democratico”.

Tutto questo, invece, pare assai meno scontato nel contesto di Israele. Il 20% degli israeliani sono palestinesi arabi non ebrei, una comunità indigena decimata dagli esprorii e dagli spostamenti forzosi che hanno accompagnato il loro inserimento nello Stato ebraico. Sono spesso trattati dalle autorità come una quinta colonna e devono fronteggiare una discriminazione istituzionalizzata. Per molti anni è sembrato che le strutture formali della democrazia israeliana (suffragio universale, libertà di stampa, un solido sistema giudiziario), combinate coin una leadership sufficientemente pragmatica, avrebbero impedito a qualunque manifestazione etnocratica o teocratica di statualità ebraica di limitare o bloccare i diritti universali della gente.

di Daniel Levy

2.continua – originariamente pubblicato su Slate

Daniel Levy, politologo e diplomatico, è stato tra l’altro consigliere politico del ministro israeliano della Giustizia Yossi Beilin (2000-2001), consigliere speciale del primo ministro Ehud Barak e capo dell’unità “Affari di Gerusalemme” con il ministro Haim Ramon nel 2005. Levy è stato inoltre tra i negoziatori israeliani degli Accordi di Ginevra e degli Accordi definiti  ”Oslo 2″.


 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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