2011/2012, SI BRINDI ALLA PRIMAVERA ARABA

Nel rituale momento dei bilanci provo a dire la mia. E cioè che l’evento più notevole del 2011 è stato quell’insieme di rivolte, proteste e scontri che, partendo dalla Tunisia, ha sconvolto la faccia del Medio Oriente e che passa sotto il nome di Primavera Araba.

La prima considerazione, in proposito, è anche la più banale: la regione che pareva più ancorata a equilibrii vecchi e immutabili, più prigioniera dei propri problemi, il Medio Oriente appunto, è stata rimessa in movimento da un’ondata in cui si mescolano tante cose, non tutte chiare, ma che ha un indubbio ed evidente carattere libertario. E’ scorso molto sangue, dal Bahrein dov’è arrivato a sparare l’esercito dell’Arabia Saudita allo Yemen, dall’Egitto dei militari alla Libia della guerra di liberazione da Gheddafi. Altri Paesi, in particolare le monarchie di Giordania e Marocco, hanno ammortizzato la portata delle proteste concedendo significative aperture a Parlamenti fino a quel momento quasi solo simbolici.

Dalla scena internazionale sono spariti dittatori che pareva eterni: via dall’Egitto Hosni Mubarak dopo 30 anni di presidenza e di proprietà del Paese; via dalla Tunisia Ben Alì dopo 23 anni; via dallo Yemen Alì Abdallah Saleh dopo 32 anni; via dalla Libia Muammar Gheddafi dopo 42 anni. E forse via dalla Siria, in un prossimo futuro, dopo 11 anni di potere personale ma dopo 41 anni di potere famigliare. Il mondo che ha accettato una guerra come quella in Iraq per liberarsi di un solo dittatore, Saddaò Hussein, dovrebbe portare molto più rispetto a chi si è battuto per cacciare questi quattro.

Un altro effetto clamoroso della Primavera Araba è stato il brusco ridimensionamento del fondamentalismo islamico. Laddove si è votato, i partiti islamisti sono stati costretti a mostrare un volto assai più moderato rispetto al passato e, comunque, ad accettare una ripartizione del potere con i partiti laici. E’ successo in Tunisia, dove si è votato in novembre: il partito islamista Ennahda è uscito vincitore ma per governare ha dovuto allearsi con due partiti “di sinistra”, il Congresso per la Repubblica (il cui leader, Moncef Marzouki, è diventato presidente della Repubblica) e Ettakatol (il cui leader, Mustafa ben Jafaar, è stato eletto presidente dell’Assemblea Costituente incaricata di riscrivere la Costituzione). Si sta votando anche in Egitto ed è già chiaro che i Fratelli Musulmani dovranno accettare un’analoga spartizione del potere.

A proposito di Costituzione. Nel 2012 ne avranno una nuova Tunisia ed Egitto, appunto, ma anche la Libia. E’ un passaggio, quello libico, particolarmente complicato, perché il cambio di regime è stato realizzato con una guerra sanguinosa cui hanno partecipato Stati stranieri, e che si è sempre più configurata come una guerra tra Cirenaica e Tripolitania. Ricade su Francia, Gran Bretagna e Usa (gli Stati più impegnati dal punto di vista militare) ma anche sull’Italia per evidenti ragioni, parte della responsabilità per il futuro cammino del nuovo regime libico.

Il 2012 potrebbe portare buone notizie anche a chi ha chiesto, senza successo, più libertà in Bahrein e in Arabia Saudita. La repressione (almeno 50 morti e centinaia di feriti) esercitata in Bahrein dalla minoranza sunnita contro la maggioranza sciita ha avuto successo ma non è rimasta senza conseguenza. L’opinione pubblica americana non ha gradito la solita politica del doppio standard (la libertà va bene, ma solo dove mi conviene) e l’appoggio dato dagli Usa al regime degli Al Khalifa. Così qualcuno, da Washington, potrebbe convincere il sultano Salman ben Hamad al Khalifa a sostituire il suo primo ministro, lo zio Khalifa ben Salman al Khalifa, anche lui in carica da 40 anni consecutivi.

E in Arabia Saudita, il più conservatore dei Paesi del Medio Oriente, si scrutano con ansia le condizioni del re Abdallah, 87 anni ma ancora il garante di una lunga serie di equilibrii. Il successore designato è Nayef ben Abdel Aziz, ministro dell’Interno in carica da “soli” 36 anni. Qualcuno, però, nella sterminata famiglia reale (8 mila principi), potrebbe chiedersi se un simile reazionario (e integralista islamico) sia la persona più indicata per conservare all’Arabia Saudita il potere e la ricchezza di cui dispone. Il voto alle donne, concesso in autunno, potrebbe essere solo il primo di una serie di pur piccoli smottamenti in senso democratico.

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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