IRAQ, QUEL CHE RESTA DELLA GUERRA

Il 21 ottobre Barack Obama aveva annunciato il completo ritiro di tutte le truppe Usa dall’Iraq entro la fine dell’anno, e sta mantenendo la parola. Gli ultimi 39 mila soldati americani (il massimo della forza era stato raggiunto nel 2008, con 165 mila uomini) tornano a casa, lasciando gli iracheni, almeno quelli al governo, non si sa quanto felici di vederli partire.

Il ritiro americano è totale anche perché è fallita l’ultima trattativa: il Governo iracheno chiedeva che restassero almeno 5 mila soldati in qualità di istruttori, sottoposti però alle leggi nazionali. In poche parole, non liberi di sparare a piacimento sui civili iracheni. Leon Panetta, all’epoca ancora ministro della Difesa (ora è capo della Cia), aveva seccamente risposto: “Noi proteggiamo i nostri soldati e chiediamo per loro l’appropriata immunità”. Fine della trattativa.

Nata tra le menzogne di George Bush e dei suoi uomini, la guerra in Iraq è tuttora un tabù intellettuale. Troppo freschi i ricordi per non far degenerare ogni dibattito in uno scontro ideologico. Ma non solo. Accompagnata da una gigantesca e ben organizzata campagna di disinformazione, la guerra è stata amputata anche di una corretta informazione. Il Dipartimento della Difesa Usa denuncia 4.408 soldati uccisi e 32.195 feriti. Gli inglesi hanno perso 179 uomini. Secondo le statistiche elaborate dalla Brookings Institution su dati forniti dal Governo Usa, sono circa 10 mila i soldati e poliziotti iracheni caduti negli scontri con la guerriglia.

Possiamo crederci? E’ tanto o è poco? Personalmente sono piuttosto scettico, per quel che ho visto nei viaggi in Iraq e per quanto ho potuto studiare, sulla cifra dei civili morti di morte violenta. La Brookings parla di 82 mila circa, il ministero della Sanità dell’Iraq di 100 mila circa. Ma è una valutazione offerta già anni fa e nel frattempo gli iracheni hanno continuato a cadere nelgi attentati: quasi 1.800 solo quest’anno. E va ricordato che l’amministrazione Bush aveva espressamente vietato di tenere e pubblicare statistiche sulla sorte dei civili iracheni.

Bisognerebbe poi capire quali danni e quali vantaggi abbia eventualmente portato all’Iraq questa guerra. Via Saddam Hussein, d’accordo. Ma forse si poteva farlo in altro modo. Un sondaggio condotto in Iraq nel giugno di quest’anno (dall’International Repubblican Institute) ha raccolto i seguenti risultati:

Il Paese va nella direzione giusta o sbagliata? Giusta 38%  Sbagliata 52%                                                                     – Descrivereste la situazione economica come buona o cattiva? Buona 48%  Cattiva 49%                                – Nell’ultimo anno si è avuta più o meno sicurezza? Più sicurezza 59%  Meno sicurezza  22%

Meno ristrettezze, più sicurezza ma si va nella direzione sbagliata. A quanto pare anche gli iracheni hanno qualche difficoltà a giudicare. E’ possibile che questo dipenda da fattori che a noi, da lontano, riesce difficile valutare in modo corretto. Per esempio: molti più ragazzi iracheni vanno a scuola, dal 2002 (prima della guerra) al 2005 sono cresciuti del 5,7% (da 3,5 a 3,7 milioni) gli iscritti alle scuole elementari e del 27% (da 1,1 a 1,4 milioni) gli iscritti alle medie e superiori.

Ma i medici iracheni prima della guerra erano 34 mila e alla fine del 2008 erano solo 16 mila. Più di 20 mila medici hanno lasciato l’Iraq e solo poco più di 1.500 sono in seguito tornati. Più di 2 mila medici sono stati uccisi e 250 rapiti. E’ meglio avere il figlio che va a scuola o il medico che ti cura? O è meglio avere il telefono? C’erano 833 mila abbonati al telefono in Iraq prima della guerra, oggi ci sono quasi 20 milioni di cellulari (su 31,5 milioni di abitanti) e 1 milione e 300 mila telefoni fissi. O le fognature, che all’inizio del 2008 raggiungevano l’8% della popolazione, un anno dopo il 20% e ai primi del 2011 il 26%?

L’Iraq, che nel 2011 ha incassato 37 miliardi di dollari con l’esportazione del petrolio, e secondo Transparency International è 175° (su 183 Paesi esaminati) nella graduatoria del corretto e onesto governo della cosa pubblica. Per dare un’idea: l’Irak di Saddam era 113% su 133, quindi un po’ meglio in graduatoria di quelli di adesso.

 

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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