Dopo le ultime giornate, si può dire che la Giunta militare che da quasi un anno regge le sorti dell’Egitto è avviata sulla strada di Bashar al Assad in Siria: potrà conservare il potere ma la sua legittimità è ormai nulla. E le dimissioni del primo ministro Essam Sharaf e del suo Governo, pr0ntamente accettate dai generali, sono un ulteriore chiodo sulla bara di un esperimento fallito.
Nel febbraio scorso, quando il dittatore Hosni Mubarak cadde dopo 18 giorni di manifestazioni e proteste, dai cortei si levava spesso il canto “Studenti e soldati una cosa sola”. L’idillio è ora definitivamente annegato nel sangue di decine di morti e migliaia di feriti, negli scontri che infiammano un numero crescente di città: dal Cairo ad Alessandria, da Suez a Ismailia, da Qena ad Assiut. Forse i movimenti giovanili che avevano animato le prime proteste sono stati troppo ingenui, o forse era inevitabile, a quel punto, che le forze armate fossero comunque percepite come un indispensabile elemento di continuità dopo la fine di una regime durato trent’anni.
Ma la giunta diretta dal maresciallo Hussein Tantawi, e formata da generali che fino a poche settimane prima erano tra i fedelissimi di Mubarak, ha fallito il suo compito e ha mancato un’occasione storica. La sua missione era di impedire lo sfascio del Paese e di traghettarlo in modo democratico verso una seria politica di riforme e un Governo di civili. Non è stato così.
La riforma della Costituzione, approvata per referendum il 21 marzo con il 77% dei consensi, è stata un primo passo. Purtroppo l’unico passo. Giorno dopo giorno, incertezza dopo incertezza, repressione dopo repressione, i militari si sono alienati le simpatie di tutti gli strati politici e sociali. I riformisti temevano le elezioni convocate per novembre (e rese possibili, peraltro, proprio dalla riforma alla Costituzione) e sapevano che al momento del voto avrebbero pagata cara la loro disorganizzazione. Una minoranza corposa come quella cristiana (10% della popolazione) si è sentita abbandonata di fronte ai rigurgiti dell’islamismo. I Fratelli musulmani hanno registrato il malcontento di una base fatta di borghesi e proletari che, in modo diverso ma comunque pesante, hanno pagato la mancanza di liberalizzzazioni sotto forma di una pesantissima crisi economica. Liberalizzazioni che, peraltro, non si possono fare se l’apparato militare non molla la presa su interi settori economici, controllati dai generali e assistiti dallo Stato con forti aggravi per le casse pubbliche.
Il risultato è che per domani è convocata in piazza Tahrir una manifestazione che porterà in piazza un milione di persone. E ben 35 movimenti di diversissima ispirazione (con i Fratelli musulmani schierati a fianco della sinistra) si sono dati appuntamento per quella che non è più una protesta ma vorrebbe essere una spallata al regime dei generali. Così, mentre l’Occidente si faceva le solite menate sui rischi dell’estremismo islamico, anche in Egitto come in Siria le stragi arrivano dall’estremismo laico di un governo militarizzato. Di colpo nessuno si chiede più se i morti siano cristiani, anche se è più che probabile che di cristiani ve ne siano molti tra i ragazzi di piazza Tahrir.
Com’era stato facile prevedere, comunque, gli obiettivi minimali delle potenze europee e degli Usa (via i dittatori impresentabili, qualche riforma di facciata, intervento dove c’è il petrolio e indifferenza dove il petrolio non c’è) rischiano di complicare la questione. La Siria è in bilico da mesi e l’Egitto è sulla buona strada. Aiutare la Primavera araba con più decisione e fin da subito avrebbe fatto meno danni.
Caro Fulvio, in queste primanere arabe c’è sempre un elemento di debolezza, cioè la mancanza di leaders realmente radicati laici e moderati che non siano islamisti, e si deve capire la diffidenza delle cancellerie occidentali che paventano il rischio di consegnare senza colpo ferire il Maghreb ai Fratelli Musulmani e simili, che oggi mostrano mitezza da agnelli, salvo tradirsi ogni tanto come in Tunisia Gannouchi, il quale ha auspicato che la Umma islamica si liberi di Israele prima della data del 2027 (che fu profetizzata, si fa per dire, dallo sceicco di hamas Yassin). Se tanto mi da tanto, se queste dichiarazioni di intenti passano tranquillamente nel Paese che era il più laico della zona, immaginiamoci cosa sarà il Maghreb islamizzato. la versione religiosa del nasserismo, suppongo. Le rivoluzioni vengono spesso tradite dalla storia, ciò che conta è quel che rimane dopo il diradarsi del fumo…
Caro Fabio,
le cancellerie si muovono molto rapidamente quando c’è odore di petrolio. Poi, quando si tratta della democrazia, di colpo scoprono la prudenza. Mah… A me pare che il miglior regalo che si possa fare all’estremismo islamico sia proprio quello di non appoggiare i movimenti che, senza tante storie, lo hanno emarginatio e messo in difficoltà. Poi, certo, siamo tutti in ambasce per le dichiarazioni di Gannouchi, che di sicuro domani muoverò all’assalto di Israele. Andiamo, su…
Stammi bene, a presto
Fulvio
Caro Fulvio, scontato il fatto che la Tunisia non costituisca alcuna minaccia militare per Israele, bisogna però chiedersi che razza di democrazia si stia preparando in un Paese i cui leaders chiedano la fine di un altro Paese. Questo il senso del mio post. Se per risibile ipotesi il governo delle Far Oer si augurasse la fine dell’indegna Italia, da un lato tutti faremmo spallucce, dall’altro avremmo tutto il diritto di giudicare demenziale quel governo, e ambigua e controversa la cosiddetta primavera baltica che ne avesse prodotto l’indipendenza. O no? Se poi la voce delle Far Oer non fosse che l’eco di quella, poniamo, della Russia che sostenesse le stesse identiche cose sulla nostra Italia, allora avrei qualche motivo in più per non minimizzare, soprattutto se per imitazione nella generosa gara si aggiungessero le voci di Danimarca Estonia Finlandia e via dicendo… Quanto all’Egitto e ai mancati aiuti dell’Occidente alla primavera araba, mi sembra un reale rompicapo per l’Occidente, anche stante l’ambiguità dei rapporti tra Fratelli Musulmani ed esercito, indecisi se spartirsi il potere o fronteggiarsi apertamente. Se l’esercito sarà ridimensionato, come tutti in Egitto sembrano desiderare, prenderà democraticamente il sopravvento il movimento che si vuole, nelle speranze, islamista moderato (anche se partecipe di una minoranza salafita). Bene, vedremo di quali liberalizzazioni e aperture sociali (particolarmente nei confronti dei copti) saranno capaci; personalmente resto scettico, augurandomi di sbagliare. Quanto alla Siria, credo che, oltre alla mancanza di petrolio, ci sia a inibire interventi punitivi del debole Occidente odierno la necessità di non scontrarsi con gli interessi della Russia e Iran. Però come si diceva altrove, anche lì i cristiani vivono il tragico dilemma; da chi e da cosa aspettarsi il peggio, dalla guerra civile in corso o dalle probabili persecuzioni che subiranno dagli eventuali nuovi padroni? Visto che la loro situazione (partecipazione al potere, tolleranza per loro del governo di Assad) ricorda quella che c’era nell’Iraq di Saddam?
Caro Fabio,
credo che su certi temi non ci intenderemo mai. Io credo che Israele, oggi, non corra alcun rischio. Nemmeno da parte dell’Iran, che va fermato e puniti se fa esperimenti nucleari ma che non ha alcuna capacità di arrivare alla bomba né, poi, di usarla.
Detto questo, mi piacerebbe anche sapere se la democrazia ci piace o no. Se ci piace, va da sé, bisogna promuoverla. Preoccuparsi per l’estremismo islamico in Egitto e non preoccuparsene quando l’Arabia Saudita spara sui dimostranti del Bahrein, ammetterai, è un po’ curioso,. Oppure rivela questo: la democrazia ci piace a volte sì e a volte no, secondo convenienza. E l’estremismo islamico (che, ripeto quanto ho scritto, da nessuno è stato ridimensionato come dai movimenti della Primavera Araba) è solo una scusa.
Sulla Tunisia: io sono sicuro che Ghannouci sarà un pessimo governante. Ma la democrazia è questa roba qua, scegliere uno se ti piace e sceglierne un altro quando non ti piace più. La democrazia che elegge solo quelli che ci piacciono non è democrazia. E la democrazia perfetta, che basta scartarla e la usi, non esiste. Soprattutto nei Paesi che non l’hanno mai avuta o che escono da lunghe dittature. E poi, scusa, perché “gli eventuali nuovi padroni” della Siria dovrebbero per forza darsi alle persecuzioni ai danni dei cristiani? Chi lo dice?
Ciao, a presto
Fulvio