TUNISIA, LA DEMOCRAZIA E I SUOI RISCHI

Men che mediocre nell’azione politica (due guerre disastrose in Iraq e in Afghanistan, di cui quella afghana chiaramente non vincibile; il tracollo finanziario negli Usa che ha innescato la crisi economica globale), il decennio del fallacismo-bushismo ha però ben lavorato con la propaganda. I semi del rancore anti-Islam hanno generato tante robuste pianticelle. E lo si vede dall’approssimazione con cui oggi vengono giudicati anche i fermenti della cosiddetta Primavera araba.

Donne tunisine a una manifestazione elettorale del partito Ennadha.

E’ chiaro a tutti che la situazione non è priva di rischi. Una deriva estremista è sempre possibile (sicura no, secondo me nemmeno probabile, ma possibile sì) e il processo “rivoluzionario” ha intanto stremato economie già deboli e precarie, con quel che ne può derivare. Però, però…

Prendiamo il caso della Tunisia, dove si è appena votato in modo democratico e con una percentuale di affluenza alle urne del 90%. A quel che si è visto, sono state elezioni più regolari e certe (quindi, più democratiche) di quelle per esempio svolte in Afghanistan o in Iraq. Il partito islamista radicale, espressione del movimento dei salafiti, non è nemmeno stato ammesso alle liste.

Ha vinto (ma non stravinto) Ennadha, il partito islamista moderato guidato da Rachid Ghannouchi (o, meglio, Rashid Ghannushi). Giù tutti a piangere e a commemorare lo Stato laico che fu. Ora: qualcuno dei lacrimanti davvero sa quale sia il programma politico di Ennadha? Come tutti i partiti, anche questo alla viglia del voto ha diffuso propositi così ampi e generali da diventare vaghi. Resta comunque l’impegno a instaurare con l’Assemblea costituente “un regime parlamentare che si appoggi a un Parlamento di una sola Camera, garantisca la separazione dei poteri, con un Governo responsabile di fronte al Parlamento”.

Rashid Ghannoushi, leader di Ennadha.

Eh, mica ci fregano: mentono. E chi lo dice? Bisognerebbe almeno sapere qualcosa di Ghannoushi, il leader. Ma quando Sarkozy e Berlusconi andavano a braccetto con il dittatore Ben Alì (e non solo: Michèle Alliot-Marie, ministro degli Esteri di Francia, dovette dimettersi perché con Ben Alì era addirittura in affari, e Berlusconi dev’essere ancora azionista di una televisione tunisina), chi si occupava del dissenso tunisino? Quandfo mai hanno scritto una riga su Ghannoushi, prima, i piangina di oggi?

Ghannoushi, per chi ha buona memoria, è un politico levantino e ha già sostenuto più o meno tutte le politiche possibili immaginabili in un Paese arabo: dalla lotta frontale contro Israele alla trattativa, dall’insurrezione contro Ben Alì alla “riconciliazione nazionale”. Si è fatto vent’anni di esilio e adesso è tornato da trionfatore. Il suo curriculum fa pensare che sarà un mediocre governante, ma non necessariamente un bombarolo.

Ma è più o meno lo stesso curriculum, estremismi compresi, che aveva l’attuale premier turco Erdogan prima di arrivare al Governo. Ma la Turchia è decollata con Erdogan, non con i generali golpisti o con i Governi-fantoccio da loro messi in carica. E lo sviluppo economico del Paese è stata l’arma migliore per tenere sotto controllo i focolai di islamismo presso la popolazione. Ed è proprio la Turchia di Erdogan, se non sbaglio, quella che soprattutto la destra italiana voleva portare nell’Unione Europea, giusto?

In Libia desta preoccupazione il proposito, già dichiarato dagli uomini del Cnt che ha detronizzato Gheddafi con l’aiuto decisivo della Nato, di non approvare mai leggi in contrasto con i principi dell’Islam. Anche a me pare la ricetta sicura per il sottosviluppo. Ma quelli che ora si preoccupano lo sanno o no che la Costituzione dell’Iraq (proprio quello liberato e sostenuto dagli Usa), all’articolo 2, prevede la stessa cosa?

Altro capitolo: l’Egitto. L’abbattimento delle chiese e l’uccisione dei copti tracciano uno scenario inquietante. Ma l’uomo forte dell’attuale regime, il maresciallo Hussein Tantawi, era l’uomo forte (per 10 anni capo dell’esercito, ministro della Difesa e della Produzione militare) anche del precedente regime, quello di Mubarak. Che sia diventato anche lui, di colpo, a 71 anni d’età e dopo un gran navigare, un islamista? Per farsi togliere dai Fratelli Musulmani l’enorme potere faticosamente accumulato? E se ci preoccupa tanto il fondamentalismo degli egiziani, perché non facciamo una piega di fronte al fondamentalismo dell’Arabia Saudita, già finanziatrice di tutti i movimenti radicali dell’Islam nonché sponsor, a suo tempo, dell’Afghanistan dei talebani?

Insomma, e se ci mettessimo un po’ di calma e gesso.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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