Il rapimento di Rossella Urru, cooperante del Cisp, e degli altri due volontari spagnoli (Ainoha Fernandez de Rincon ed Enric Gonyalons) segna drammaticamente il ritorno sulla scena del cosiddetto Aqmi, ovvero Al Qaeda nel Maghreb islamico, il gruppo terroristico nato nel 2007 proprio per saldare le attività dei gruppi estremisti salafiti dell’Algeria con quelle dell’organizzazione di Osama Bin Laden.
Il sequestro di persona, insieme con il narcotraffico e il traffico di armi, è da sempre il più tradizionale metodo di autofinanziamento del gruppo. Sono ormai decine gli europei e gli americani sequestrati dall’Aqmi e quasi sempre rilasciati illesi. Nel 2008, il sequestro di due turisti austriaci fruttò alle case dei terroristi la bellezze di 6 milioni di euro.
Tutto questo è un piccolo motivo di ottimismo nella vicenda drammatica della cooperante italiana. Anche perché l’Aqmi, nel suo versante più politico, si è in passato mostrato capace di azioni pesantissime (attentati suicidi, sparatorie, omicidi mirati, assassini con bombe piazzate lungo le strade, assalti a caserme dell’esercito algerino, attacchi alle ambasciate), per di più portate a termine su un territorio vastissimo: ha colpito in Tunisia, Algeria, Mauritania, Mali, Niger.
Il 2010, però, è stato per le potenziali vittime dell’Aqmi un anno di relativa quiete. Gli attentati sono calati in numero e in efficacia. I militanti, che nel 2007 si riteneva fossero circa 30 mila, sono stati ridotti a un migliaio dalle operazioni dell’esercito algerino e dalle indagini condotte nell’area dalle polizie di Francia e Italia. La prospettiva di subire attentati anche in Europa, per mano di frange radicali della folta comunità algerina o tunisina all’estero, è stata via via ridimensionata dagli esperti dell’antiterrorismo fino a essere praticamente esclusa.
In poche parole, l’Aqmi sembra in ritirata anche nel Maghreb. Anzi, soprattutto nel Maghreb. Nel Nord dell’Algeria centinaia di militanti e simpatizzanti dell’Aqmi sono finiti in prigione o sono stati individuati e neutralizzati. Il che ha spinto i leader dell’organizzazione a trasferire sempre più a Sud le basi principali e le reti operative. Il che allontana una minaccia dal Mediterraneo ma ne fa balenare un’altra, altrettanto inquietante, proprio nel cuore dell’Africa: la possibile alleanza dell’Aqmi con i movimenti radicali islamici attivi in Nigeria, con obiettivo le rivendicazioni della corposissima (40% della popolazione totale) minoranza cristiana del Paese. La convivenza tra musulmani e cristiani, nel Paese, poggia da sempre su un equilibrio molto precario. La Nigeria, inoltre, è il primo produttore di petrolio dell’Africa e il sesto esportatore mondiale. Ha dunque un ruolo strategico sul mercato globale dell’energia, che però non si trasforma in un maggiore benessere per la popolazione, che vive per lo più in povertà. Potrebbe non essere troppo difficile, dunque, soprattutto per un’organizzazione che ha ormai alle spalle un ventennio di azioni terroristiche e di propaganda, produrre scintille potenzialmente micidiali per una simile situazione.