AL AWLAKI, VITA E MORTE DI UN TERRORISTA

Anwar al Awlaki, portavoce di Al Qaeda nella Penisola arabica e una delle ultime figure di spicco del terrorismo islamico, è stato eliminato nello Yemen da un missile sparato da un drone americano. Era sfuggito per miracolo a una simile sorte il 6 maggio di quest’anno, quando un altro missile aveva colpito l’auto su cui viaggiava, uccidendo però gli altri due passeggeri.

Anwar al Awlaki.

Al Awlaki era una figura molto interessante. Non era un uomo d’armi ma un maestro della tecnologia e della parola. Era il programmatore che aveva creato la rete Internet di Al Qaeda e uno dei più efficaci reclutatori del terrorismo nella diaspora dei musulmani all’estero. In più, conosceva bene l’Occidente e il suo modo di pensare per aver studiato negli Usa (una laurea in Ingegneria presa nel Colorado, un master in Scienze sociali in California e un Phd in Gestione delle Risorse Umane a Washington) e aver vissuto, oltre che negli Usa, anche in Gran Bretagna.

Nella sua biografia pubblica di terrorista spiccano tre momenti. Al Awlaki era un imam e tre dei terroristi dell’11 settembre avevano frequentato la moschea in Virginia dove lui predicava. In contatto con Al Awlaki era stato anche il maggiore medico Nidal Hasan, cittadino Usa di origine palestinese, che aveva poi ucciso 13 commilitoni nella base di For Hood nel 2009. Sempre Al Awlaki aveva reclutato il nigeriano Umar Faruk Abdul Mutallab, che il giorno di Natale 2009 aveva cercato di farsi saltare a bordo di un volo transatlantico diretto verso Detroit.

Come la vita, anche la morte di Al Awlaki è interessante. E’ avvenuta, infatti, una settimana dopo il rientro nello Yemen di Ali Abdullah Saleh, il presidente-dittatore alle prese con la rivolta di un parte del Paese, a cui ha risposto con una repressione sanguinosa. Molti sospettano che l’eliminazione di Al Awlaki fosse organizzata da tempo ma che sia stata realizzata proprio ora per dare un supporto strategico alla pericolante causa del Presidente.

Un oppositore del presidente Saleh dello Yemen.

Saleh è da tempo un fedele alleato degli Usa e si era rifugiato a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, sotto la protezione di un altro regime strettamente legato alla politica americana. Sono stati gli stessi sauditi a riportarlo a Sanaah, capitale dello Yemen, e a scortarlo fino al suo palazzo.

Se i sospetti hanno un fondamento, si può immaginare un quadro di questo tipo. Gli Usa favoriscono il cambio di regime in Egitto e in Tunisia e addirittura si fanno promotori (e sostengono con intelligence e materiali) della guerra in Libia. Al contrario, si oppongono a qualunque cambiamento in Arabia Saudita e nel vicino Bahrein e assistono senza batter ciglio alla repressione di ogni richiesta di democrazia. Per lo Yemen e la Siria, altra posizione: a parole per il cambio di regime, nei fatti schierati con l’autocrate Saleh (nello Yemen) e comunque contro un ricambio che non possono controllare (nella Siria di Assad).

E’ ovvio che tutto questo non ha nulla a che vedere con ideali e principi ma solo con gli interessi nazionali. Gli Usa, quindi, volevano rafforzare la propria posizione nel Mediterraneo. Perché? Certo non per il petrolio, visto che l’Algeria non si è mossa e la Libia, dopo tutto, è solo il quarto produttore di petrolio dell’Africa. Perché temono la crisi economica dell’Europa e vogliono seguirla più da vicino? Perché temono che la Cina, già penetrata profondamente in Africa, possa in qualche modo infiltrare anche l’economia del Mediterraneo? Difficile dirlo. Ma credo che ne discuteremo ampiamente nel prossimo futuro.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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