LA PIETRA AL COLLO DI USA E ISRAELE

La richiesta di riconoscimento avanzata da Abu Mazen alle Nazioni Unite (per la precisione, “domanda di ammissione della Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, sulla base dei confini del 4 giugno 1967, con Al Quds al Sharif, cioè Gerusalemme, come sua capitale”) ha provocato molte reazioni, quasi tutte prevedibili.

Il presidente Barack Obama.

Gli Usa hanno posto il veto, rimandando tutto alle trattative, facendo finta di non sapere che il dialogo tra Israele e palestinesi è più che morto. Israele, tramite il premier Netanyahu, ha mobilitato l’esercito, riproposto i soliti problemi di sicurezza (d’altro canto, se Israele non si sente sicuro con la bomba atomica e l’esercito più potente della regione…) e, per non sbagliare, ha evocato lo sterminio degli ebrei. L’Europa come sempre si è divisa: la Gran Bretagna è sulla linea Usa, Italia e Francia per la concessione alla Palestina di uno status di “osservatore permanente”, lo stesso di cui all’Onu gode la Santa Sede; Svezia, Portogallo, Belgio e Spagna a favore della richiesta di Abu Mazen.

Tutti, insomma, fanno più o meno le solite cose. Obama pensa alla campagna elettorale imminente e teme di perdere i voti delle lobby filo-israeliane. Netanyahu fa la vittima ma prosegue con la politica di lenta espulsione dei palestinesi, avendo appena approvato l’ennesima tornata di insediamenti a Gerusalemme Est (1.520 nuove unità abitative). I leader europei procedono in ordine sparso, sprecando come d’abitudine il potenziale politico ed economico dell’Europa unita.

Purtroppo per tutti loro, e per tutti noi, il mondo intorno cambia precipitosamente. E le “solite cose” potrebbero presto diventare una pietra al collo. Le rivolte della cosiddetta “primavera araba”, belle o brutte che siano, stanno cambiando il Medio Oriente. Obama, che tante speranze aveva generato nella regione con il discorso del Cairo (giugno 2009) è ormai il presidente che non solo tradisce i palestinesi ma, per brama di petrolio, da un lato bombarda Gheddafi per la democrazia e nello stesso tempo aiuta i sauditi a bombardare chi, da loro e in Bahrein, chiede democrazia. Anche se proprio i sauditi sono i principali sostenitori finanziatori di quell’islamismo su cui poi tutti si stracciano le vesti. In più, il Medio Oriente ha ora un modello suo, autoctono: la Turchia, Paese di un islam relativamente moderato ma soprattutto Paese democratico ed economicamente vincente.

L’Europa si fa del male da sola, dunque non può far del bene ad altri. Israele sembra chiuso in una bolla temporale. Il Paese di cui si diceva, a ragione, “è l’unica democrazia del Medio Oriente”, si è ridotto a fare disperatamente il tifo per qualunque dittatore trovi in giro, anche per lo stragista siriano Assad, purché nulla cambi. Il che ripropone alcune questioni chiare già da tempo ma finora tenute a bada dalla politica e dalla propaganda.

La prima: è ancora vero che ciò che giova a Israele giova al Medio Oriente? Oggi forse no. La permanenza al potere di Assad (come prima di Mubarak in Egitto e di Ben Alì in Tunisia) tranquillizza forse Netanyahu ma certo non giova al popolo della Siria e nemmeno allo sviluppo complessivo della regione. La seconda: che cos’è, esattamente, Israele oggi? E’ un Paese del Medio Oriente o è un pezzo di Occidente in Medio Oriente? Nel primo caso, si può pensare di andare avanti senza avere normali relazioni con gli altri Paesi dell’area? Nel secondo, ci può essere migliore conferma, agli occhi degli arabi, della natura coloniale dello Stato ebraico?

Il ponte sul Bosforo a Istanbul.

Per di più, non cambia solo il Medio Oriente. Cambia il mondo. E se Abu Mazen, incassato lo scontato veto americano al Consiglio di sicurezza, porterà la richiesta palestinese al voto dell’assemblea Generale dell’Onu, scopriremo che dalla sua parte ci sono non solo i Paesi arabi, ma anche i Paesi che da anni crescono per importanza sulla scena internazionale: dalla Cina alla Russia, dal Brasile all’India, dalla Turchia al Venezuela, dal Sudafrica all’Indonesia. Con loro, il giochino americano di difendere la dittatura in casa degli amici e la democrazia in quella dei nemici ha poco valore. Intanto perché molti di quei Paesi sono poco affezionati al concetto di democrazia. Ma soprattutto per ragioni politiche e strategiche, di conquista degli spazi e dell’influenza globale: chi racconterà alla Cina che il Tibet dev’essere indipendente e la Palestina no? O alla Turchia che il Kurdistan può essere autonomo e la Palestina no? O alla Russia che il Kosovo, essendo un protettorato americano, può diventare uno Stato e la Palestina no?

Si misura anche così il cambiamento del mondo: dall’inerzia americana, dal nulla israeliano, dalle divisioni europee, messi al confronto con l’iniziativa e con il dinamismo altrui. Come dicevano i nostri nonni: marca male. Ma non è una novità e la pessima gestione della crisi economica in Europa e negli Usa, qua e là ridotta al patetico dibattito se i ricchi debbano o no pagare le tasse, aveva già dimostrato la scarsa stoffa di questa leva di leader.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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6 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, c’è molta carne al fuoco nel tuo pezzo, alcune cose le condivido, altre no. Quello che manca sempre quando si prende in considerazione la legittima aspirazione della Palestina a essere stato, è la possibiltà che questo stato sia in fieri uno stato terrorista, un po’ come il Kosovo è uno stato di stampo e attività mafiose. La differenza la fa il terrorismo suicidario, contro cui non ci sono difese, se non la separazione (il muro o barriera dunque). E’ un problema finora irrisolto, di natura culturale, teologica e politica il fatto che il “martirio” islamico lungi dall’essere considerato una barbarie assoluta, (ed essere tabuizzato un po’ come l’incesto) sia in quei luoghi un valore. E’ quello che fa l’enorme differenza tra una società di valori e una società incivile. Mi spiace, ma non può essere diversamente, in attesa che ci siano dichiarazioni chiare e definitive delle autorità palestinesi, che temo non verranno per molti anni. Uno stato bisogna meritarselo, non guadagnarselo con i ricatti giocati nei più diversi tavoli.

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    i nostri discorsi rischiano di somigliare al famoso rebus: è nato primo l’uovo o la gallina? Se i palestinesi avessero uno Stato forse non avremmo il terrorismo. D’altra parte, il terrorismo fu abbondantemente praticato anche dal movimento sionista e alcuni illustri “terroristi” (vedi Begin, organizzatore della strage all’hotel King David) divennero “poi” (sottolineo il poi) anche illustri politici. Io certezze non ne ho. Mi limito sommessamente a notare che oggi, Hamas (movimento indubbiamente promotore di terrorismo) controlla a Gaza un’entità che somiglia a uno Stato assai più di quanto gli somigli la pacifica Cisgiordania. E mi pare che a Israele vada benone così.
    Ciao, a presto

    Fulvio

  3. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, giusto ricordare che ci fu un terrorismo ebraico (si ricorda anche il massacro di Deir Yassin, per non dire dell’uccisione del plenipotenziario dell’Onu il conte Bernadotte), ma proprio qui sta la diversità di approccio e qunidi di legittimazione dello Stato di Israele. Pochi conoscono o ricordano che l’attività del gruppo Irgun di Begin terminò quando Ben Gurion fece affondare una nave (l’Altalena) proveniente dalla Francia e piena di armi riservate all’Irgun. Fu un episodio cruciale perché avvenuto in piena guerra di Indipendenza (Dio sa se quelle armi potevano essere utili a chi si batteva per sopravvivere) e portò sulla soglia della guerra civile la neonata Israele. Ma il coraggio e la lungimiranza di Ben Gurion (il quale comprese che poteva esserci un solo esercito per un solo Stato) ebbero il sopravvento in un momento di supremo pericolo. L’Altalena fu cannoneggiata e affondata, l’Irgun venne disciolto. Un paragone col mondo palestinese che da decenni convive con tutte le ambiguità di un terrorismo esportato fin nel mezzo di una Olimpiade, sistematizzato quale mezzo di lotta politica ben prima di Al Qaida, e infine tragicamente evoluto nel barbaro nichilismo del martirio suicidario (che in concreto è ben più pericoloso dello spauracchio atomico) è improponibile. Salvo appunto una specie di rivoluzione culturale, teologica e politica che non ne decreti la fine, ma questa rivoluzione può provenire solo dal mondo islamico, e c’è da dubitare che avvenga in tempi brevi. Per carità di patria tralascio di ricordare quanto questo “martirio” che non ha nulla a che fare col martirio dei cristiani (dono della vita per dare nuova vita sull’esempio di Nostro Signore, quello invece è morte nell’odio per dare morte) abbia affascinato non pochi cristiani di mente debole oppure interessati come alcuni vescovoni arabi iperpatrioti e quindi giustificazionisti, ahimè. Infine è utile ricordare che i palestinesi uno stato lo ebbero fin dall’inizio al pari di Israele, ma gli fu scippato dai fratelli arabi, i quali dopo la sconfitta del 48 amministrarono comunque Gaza e la Cisgiordania fino al 67. Ma questo ovviamente tu non lo ignori.

  4. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    l’episodio dell’Altalena accadde quando lo Stato di Israele era già stato proclamato. In altre parole, i terroristi dell’Irgun non servivano più e, anzi, rifiutavano di riconoscere l’autorità del nuovo Stato. Non mi pare un grande esempio di rifiuto del terrorismo. Lo “Stato” dei palestinesi che tu citi, come sai, era una minima parte del territorio su cui i palestinesi vivevano prima della proposta Onu di partizione e, soprattutto, includeva una scarsa maggioranza dei palestinesi stessi, che per il 40-45% sarebbero diventati sudditi di Israele. ti sorprende che rifiutassero?
    Ma il punto non è questo. Il punto non è scrivere un libro di storia ma che fare oggi. E oggi a me pare che il Muro abbia finito soprattutto per chiudere Israele dentro, piuttosto che tagliare gli altri fuori. Identificare, oggi, con quel che succede, il mondo islamico solo con il terrorismo kamikaze mi pare, oltre che pretestuoso, sbagliato. Sarebbe come giudicare la politica Usa solo con i massacri di Fallujah. Se l’idea è che Israele continui così, nell’attesa di poter dare ai palestinesi un “certificato di buona condotta” (cosa che Israele, comunque, non farà mai), beh, penso che sia un suicidio per Israele.
    Ciao, a presto

    Fulvio

  5. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, venendo all’oggi, permettimi che fa un po’ sorridere la tua ironia su Israele che “tifa disperatamente per lo stragista Assad”, se non altro perché (ne abbiamo già discusso) tutti gli esponenti delle varie confessioni cristiane del luogo fanno esattamente la stessa cosa: tifano disperatamente per Assad, a rischio di future rappresaglie, nella certezza di future persecuzioni se Assad dovesse cadere. Sbaglierò, ma a me pare che il denominatore comune delle primavere arabe (al plurale) sia una re-islamizzazione dell’intera regione. Cadono i despoti (dallo Shah in poi, passando per Arafat, Saddam, Mubarak, Ben Alì, Gheddafi ecc.) s’avanza la sharia. Sempre lietissimo di essere smentito dai fatti, si intende. Aspettiamo e vediamo prima di giudicare. Ma che in questo quadro ci sia il minimo spazio per iniziative politiche dirompenti di Israele, c’è da dubitare. Oltretutto quello che era l’alleato più importante del Medio Oriente è al momento perduto. Erdogan ha liquidato i generali kemalisti (fautori dell’alleanza strategica con Israele) e si fa paladino dei diritti dei palestinesi (i quali avranno il loro stato, per i curdi invece campa cavallo), certo di potersi appuntare qualche medaglia utile per superare le diffidenze del mondo arabo lungamente sottomesso all’Impero Ottomano. In questo quadro come al solito uno dei collanti più tenaci è l’odio per Israele. Che prima ancora che dalla terra ha precise origini religiose (restituire terra non ha mai giovato a Israele, anzi). Sul terrorismo infine: credo che non sia tanto l’arma del più debole contro il più forte, quanto l’arma del pensiero totalitario contro la democrazia. Se la primavera araba sarà un progresso o un eterno ritorno ai despotismi politici e culturali lo si potrà giudicare dall’atteggiamento delle opinioni pubbliche musulmane. Il terrorismo non ha mai alcuna giustificazione. come ha ribadito anche il Papa di recente.
    Ciao, a risentirci

  6. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    rispetto tutto ciò che dici ma concordo quasi per nulla. Due sole cose: Israele prende “iniziative politiche dirompenti” quasi ogni giorno, a partire dalla politica degli insediamenti. Lo fa perché è al riparo di una forza militare e di una rete di alleanze diplomatiche che regge ogni urto. Tranne poi raccontare a noi di quanto debole e isolato sia lo Stato ebraico.
    Ripeto: siamo ancora sicuri che ciò che va bene a Israele sia anche funzionale a un Medio Oriente più democratico e pacifico?
    Secondo: non credo all’avanzata automatica della shar’ia. E meno ancora credo che ciò dipenda dalla caduta dei tiranni. Anzi: forse in Iran si sarebbe avuta mano shar’ia se non ci fosse stato lo Shah, o se Mossadeq non fosse stato abbattuto con un colpo di Stato organizzato dagli Usa. E’ solo un’ipotesi, ovviamente, ma mi pare lecito farla. E poi, se siamo così (giustamente) preoccupati dell’integralismo islamico, perché non citiamo mai (ma proprio mai, mai) l’Arabia Saudita, grande finanziatrice dei talebani e patria di terroristi, oltre che regime autocratico basato sul wahabismo? Perché, anzi, l’aiutiamo, la proteggiamo, le regaliamo armi con cui sparare sui cortei, in casa e in casa d’altri? Il doppio standard era possibile quando gli Usa erano impero, adesso…
    Infine: se Erdogan protesta contro Israele, certo fa i suoi calcoli politici. Ma se avessero ucciso in Turchia 8 cittadini israeliani? O americani? Pensa al Cermis o anche solo a Amanda Knox.
    Ciao, a presto

    Fulvio

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