ARABIA SAUDITA, LA SPINTA DELLE DONNE

Con tutti i suoi limiti, la notizia che dal 2015 (ecco il primo limite) le donne in Arabia Saudita godranno del diritto di voto attivo e passivo (potranno cioè eleggere ed essere elette) nelle elezioni per i Consigli municipali (gli unici organismi scelti dai cittadini, altro grossissimo limite) resta un’ottima notizia. E’ anche la dimostrazione che molti dei presupposti della cosiddetta “Primavera araba” sono ancora validi e vitali, primo fra tutti la richiesta di maggiore democrazia.

Non va dimenticato, infatti, che l’Arabia Saudita è una monarchia assoluta, un regime islamico integralista e un’autocrazia che pochi mesi fa ha spedito l’esercito a soffocare le proteste nel vicino Bahrein, con la benedizione degli Usa. E’ abbastanza chiaro che la mossa del re Abdullah non è dovuta tanto a un’improvvisa sensibilità per i diritti delle donne (che sono il 58% dei laureati ma solo il 14% della forza lavoro) ma piuttosto alla convinzione che qualcosa era necessario concedere per non fare la fine di Mubarak e Ben Alì o almeno per non ritrovarsi con il Bengodi petrolifero scosso alle fondamenta dall’insoddisfazione popolare. Queste, però, sono ragioni che rendono positiva la notizia, invece di deprimerla: l’opinione pubblica comincia a contare qualcosa anche da quelle parti.

La mossa di re Abdullah, inoltre, è il tassello che completa un quadro che negli ultimi anni, a dispetto di tutto, si è pur mosso a una certa velocità. Il dirotto delle donne a votare è diventato legge in Libano nel 1952, in Siria nel 1949 (ma senza limiti solo nel 1953), in Egitto nel 1956, in Tunisia nel 1959, in Mauritania nel 1961, in Algeria nel 1962, in Marocco nel 1963, in Libia e Sudan nel 1964, nello Yemen nel 1970,  in Bahrein nel 1973, in Giordania nel 1974, in Iraq nel 1980, nell’Oman nel 2003 (con restrizioni già dal 1994) e in Kuwait nel 2005. In molti casi, per esempio in Libia, si è trattato di una finzione, ma solo nella misura in cui era finto anche il voto maschile.

La questione femminile è ormai diventata uno spartiacque decisivo per il futuro del Medio Oriente. Oggi ci sono circa 65 milioni di donne in età da lavoro nella regione, ma solo 18 milioni sono effettivamente occupate. In molti Paesi, inoltre (e Paesi importanti come Egitto, Turchia, Iran e Pakistan) le donne non arrivano a formare il 25% delle persone occupate fuori dell’agricoltura. Una forma di autolesionismo particolarmente dolorosa in una regione che sotto molti aspetti ha invece visto mutare in modo significativo la condizione della donna.

Nel decennio 1990-2000 i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord  hanno speso in media  il 5.3% del Pil (la più alta quota al mondo) in educazione e il 2,9% in sanità. Uno sforzo di cui hanno beneficiato anche, forse soprattutto, le donne. Gli anni di scuola per donna, che erano in media 0,5 nel 1960, sono saliti a 4,5 nel 1999, e il tasso di alfabetizzazione tra le donne è passato dal 16,6% del 1970 al 52,5% del 2000.

Nello stesso anno, 9 ragazze ogni 10 ragazzi entravano nella scuola primaria, e il 74% delle ragazze contro il 77% dei ragazzi in quella secondaria. In quasi tutti i Paesi della regione, inoltre, le donne laureate superano per numero i maschi, a dispetto del fatto che il tasso di abbandono degli studi universitari sia più alto tra le donne che tra i maschi.

Tra il 1980 e il 2000, inoltre, l’aspettativa di vita delle donne del Medio oriente e dell’Africa del Nord è cresciuta di oltre 10 anni, grazie alle migliori condizioni igieniche e al calo delle morti al parto. Come in ogni altra parte del mondo, il miglioramento delle condizioni culturali e sanitarie ha portato a un calo del tasso di fertilità: da 6,2 a 3,3 figli per donna tra il 1980 e il 2000.

Come abbiamo visto, però, tutto questo non si è tradotto in un decisivo inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Ragioni culturali, tradizioni, pregiudizi (religiosi e non) hanno agito da freno, ma non solo. Anche la domanda di manodopera sul mercato mediorientale del lavoro ha giocato il suo ruolo: le donne sono molto presenti nel settore pubblico, per esempio come insegnanti o infermiere, lavori considerati “onorevoli” per la donna ma anche meno pagati, e sono invece poco presenti nel settore privato, dove i salari sono più alti ma, anche per questo, vengono in genere offerti al maschio, ritenuto colonna portante della famiglia. Un’esclusione che ha accumulato ai margini delle società del Medio Oriente una forza, quella appunto delle donne, ancora inespressa ma crescente, sempre più conscia delle proprie ragioni e sempre più competente nel farle valere.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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2 Commenti

  1. Enrico Usvelli said:

    Ho appena firmato una petizione indirizzata al re saudita per chiedere che alle donne venga concesso il permesso di guidare le auto.
    L’esperienza dell’Unione Sovietica di Gorbaciov insegna che più apri alla democrazia e più i cittadini la vogliono completa, spero pertanto che da una piccola apertura si arrivi nel mondo arabo all’eguaglianza tra uomini e donne.

  2. Fulvio Scaglione said:

    Ciao Enrico,
    mi pare un’ottima cosa. io credo che la democrazia sia “virale”, come si dice in tempi di Facebook, cioè sia contagiosa. Basta conoscerla per ammalarsene, prima o poi. E in questo i media (ma più che ai giornali penso proprio agli strumenti per comunicare) sono secondo me decisivi: l’Urss l’ha fiaccata Internet molto più dello scudo stellare.
    Ciao, a presto

    Fulvio

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