IRAQ, PER I MEDICI VITA AD ALTO RISCHIO

Di nuovo Kirkuk, la città irachena “del petrolio”, contesa tra arabi e curdi, alla ribalta. Questa volta non per attentati contro le chiese cristiane, come in agosto, ma per una clamorosa manifestazione dei medici che, accompagnati da infermieri e autorità locali, sono scesi a decine nelle strade per protestare contro l’uccisione di un neurochirurgo (Yelderm Abbas) e i diversi casi di rapimento di medici registrati negli ultimi tempi nella regione.

I medici di Kirkuk accusano Al Qaeda, che tenterebbe così di finanziarsi (con i riscatti chiesti alle famiglie) e di seminare odio e diffidenza in una città dove divisioni e rivalità proprio non mancano. Mentre i medici sfilavano, intanto, Massud Barzani, curdo, presidente dell’Iraq, a una conferenza delle comunità curde all’estero diceva che “se le truppe Usa saranno ritirate, c’è la possibilità di una guerra interna, così come di ulteriori interventi stranieri e faide settarie”. Il che la dice lunga sulla situazione del Paese, a quattro mesi dal completo ritiro dei soldati americani.

Ma torniamo ai medici. Quando sarà possibile scrivere con calma la storia della guerra in Iraq, le loro sofferenze meriteranno un capitolo a parte. Pur dominato da Saddam Hussein, l’Iraq aveva infatti uno dei migliori sistemi sanitari del Medio Oriente. Nel 1991, cioè a embargo già dichiarato, c’erano nel Paese 1.800 punti di assistenza medica. L’embargo lo fece ovviamente decadere ma con il 2003, dopo l’invasione americana, i medici sono entrati nel mirino di ogni forma criminale, dal terrorismo puro alla criminalità organizzata.

Subito dopo l’arrivo degli americani, nel caos generale, qualunque forma di violenza veniva attribuita ad Al Qaeda e seguaci. E in effetti, l’idea di impedire la ricostruzione del Paese colpendo le classi media e i professionisti dei servizi essenziali aveva una sua perversa logica. Nel 2008, la commissione sanità del Parlamento iracheno già concludeva che dal 2003 circa 7.000 medici se n’erano andati dal Paese, e solo 600 erano poi ritornati. E il ministero dell’Istruzione, sempre nel 2008,  sosteneva che almeno 6.700 professori (liceo o università) erano fuggiti all’estero: solo 150 erano poi tornati e almeno 300 erano stati uccisi.

Una protesta dei medici di Baghdad, già nel 2003.

Poi, però, ci si accorse che erano in corso altri fenomeni. La distribuzione degli aiuti umanitari e dei fondi per la ricostruzione attirava sugli ospedali, e sul personale chiamato a gestirli, l’attenzione della delinquenza: interessata ai quattrini, alle medicine, alle attrezzature o anche solo al rapimento dei professinisti.

Il primo sciopero vero e proprio dei medici iracheni si era svolto nel febbraio del 2006 a Mosul, nel Nord, dopo che 9 medici erano stati selvaggiamente uccisi. A quell’epoca, diceva Mahmud Qassem, capo del sindacato cittadino dei medici, già 60 dottori se n’erano andati per paura della violenza. Nel luglio dell’anno dopo un altro clamoroso sciopero dei medici, questa volta nel Sud, a Bassora: tutti fermi per tre giorni, sempre a causa della violenza che, secondo Muuaid Jumaa, presidente della locale Associazione dei medici, in tre anni aveva già fatto 12 morti tra i dottori, spingendoli a decine fuori dai confini dell’Iraq. La protesta dei medici si estendeva, in quel periodo, anche contro il Governo dell’Iraq che, nel tentativo di fermarne l’esodo, era ricorso a metodi draconiani: il medico che volesse recarsi all’estero, anche per studio o per lavoro, doveva depositare una “cauzione” di 3 milioni di dinari, a garanzia del suo ritorno.

Come si vede, quindi, le manifestazion i di Kirkuk sono solo le ultime di una lunga e drammatica storia. Dall’inizio della guerra sono passati ormai otto anni, ma alla fine delle sofferenze degli iracheni ancora non si sa quanto manchi.



Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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