LIBIA: A PARIGI RINASCITA O SPOLIAZIONE?

Non è la riunione degli amici della Libia, dice il ministro degli Esteri della Russia. Non siamo qui per fare del commercio, dice invece il portavoce del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Queste affermazioni – come molte altre uscite dalla Conferenza di Parigi o in arrivo dai 12 capi di Stato, 17 capi di governo e 20 ministri che vi hanno partecipato – vanno prese con un certo beneficio d’inventario. Perché proprio la conta degli amici e l’inevitabile computo degli interessi occupa in questi giorni le cancellerie di tutto il mondo.
 

Un momento della Conferenza internazionale di Parigi sulla Libia.

Non c’è da stupirsi. Ci sono Paesi che hanno impegnato uomini, fondi e mezzi militari fin da marzo (Usa, Francia, Gran Bretagna, Qatar). Altri che si sono mossi in ritardo (Italia) ma l’hanno pur fatto, altri ancora che si sono tenuti fuori (Germania) e forse oggi si mangiano le mani. Istituzioni come l’Unione Europea possono sbloccare con un tratto di penna fondi imponenti e ieri, a Parigi, hanno reso a 28 società libiche (energia, trasporti, finanza) la libertà di operare che era stata revocata dalle sanzioni. E poi ci sono quelli che rincorrono la storia come la Russia, che solo due giorni fa ha riconosciuto il Consiglio, e la Cina, che ha almeno cominciato a elogiarlo. O, peggio, l’Algeria, che ha aspettato la Conferenza di Parigi per salutare, ultimo Paese dell’Africa del Nord, il cambio di regime in Libia.
Quindi ha forse ragione il presidente Sarkozy, che ha voluto la Conferenza, l’ha voluta a Parigi, e ai critici ha risposto così: «È troppo presto? È da marzo che ce lo dicono». Sarkozy si sente tra i vincitori, forse si crede il vero vincitore. Non a caso circola da giorni la voce, sempre smentita e mai archiviata, di un impegno del Cnt a fornire alla Francia il 35% del petrolio estratto in Libia. Dovrà ben presto capire, però, che ora si apre una partita del tutto nuova, in cui gli eventuali “meriti” acquisiti sul campo vanno mediati con le inevitabili realtà della politica. 

Partiamo dai grandi perdenti, Russia, Cina e Germania. La Russia è un pezzo da novanta nel mercato mondiale del petrolio, potrà essere esclusa dalla partita libica? La Cina è penetrata a fondo in Africa e provvede a quasi un quarto della stentata crescita globale: si potrà negarle il petrolio necessario alla sua macchina industriale? La Germania è il pilastro di ogni politica europea, la Francia oserà dirle di no? E l’Italia ritardataria? Siamo a un passo dalla Libia, siamo lo sbocco naturale delle sue esportazioni, nessuno potrà ignorarlo. E poi: lenti forse nel far decollare i caccia, ma rapidi nel ricostruire un’intesa economica che già con Gheddafi si era fatta intensa e proficua per entrambi i Paesi. Lo testimonia l’accordo siglato pochi giorni fa, quindi prima della conferenza di ieri, con il Cnt a Milano.

L'esultanza nelle strade di Tripoli dopo la fuga di Gheddafi.

Il vincitore dei vincitori potrebbe però essere l’America di Barack Obama. Più discreti del solito nelle operazioni militari, ma decisivi come sempre quanto a mezzi e intelligence, gli Usa hanno una carta in più da giocare: il rapporto strettissimo con i Paesi che affiancano la Libia, l’Egitto (che ha riconosciuto presto il Cnt) e la Tunisia, ammirevole nell’accoglienza ai profughi della Libia.

Resta da sciogliere il nodo importante della missione Onu. Sarebbe necessaria in un Paese che, Gheddafi o no, ancora rischia di frammentarsi sotto la spinta degli interessi tribali e di faide fermentate in 42 anni di dittatura. Ban Ki-Moon, il segretario generale dell’Onu, ha detto a Parigi di voler chiedere al Consiglio di Sicurezza il via libera per una missione «nel più breve tempo possibile». Ma le nazioni che hanno investito nella cacciata di Gheddafi vorranno l’Onu di mezzo? E i nuovi padroni del Paese accetteranno la tutela? Dalla risposta a queste domande cominceremo a capire qualcosa della nuova Libia. In primo luogo, se l’intervento militare e gli attuali consessi diplomatici rispondono al fondamentale richiamo della Chiesa, libertà e benessere per un popolo troppo a lungo oppresso dalla dittatura, o a una frusta logica di speculazione, se non di spoliazione.

Pubblicato su Avvenire del 2 settembre 2011
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

Un Commento;

  1. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, liberazione o spoliazione sono giusto le discriminanti che ex-post (come tu suggerisci) ci diranno se questa è stata una guerra giusta o meno, almeno dal punto di vista della morale cattolica. (guerra giusta, concetto agostiniano ripreso e definito in termini moderni e chiari nel Catechismo Cattolico). Ex-ante invece mi sembra che questa guerra sia stata benedetta o comunque non ostacolata nella maggior parte della base cattolica (d’altronde le ambiguità e contraddizioni erano tante che neanche il Papa ha potuto esprimere un giudizio netto, limitandosi a deprecare l’inutilità della armi, liberi tutti dunque…). Prova ne sia che non si è vista una sola bandiera arcobaleno che fosse una (e qui sorge il pensiero malizioso che l’America era dietro le quinte, Israele non c’entrava, dunque…) Su Famiglia Cristiana (che pure non aveva lesinato dubbi e critiche in un articolo di Marinella Correggia) un titolo è stato sospeso e cambiato forse per eccesso di gaudio irriverente ( “E ora è Gheddafi a scappare come un topo”). Insomma l’evidente ambivalenza di questa guerra si è riflessa anche sugli osservatori. Personalmente credo che quando cade un dittatore dello stampo di Gheddafi si può essere solo contenti. Dubito molto però che ci sarà “liberazione” come possiamo intenderla noi occidentali. Come sempre nel mondo arabo, caduto un dittatore, arriva la sharia (per forza, hanno solo quella) il corpus di legge islamiche che prevede la lapidazione dell’adultera (non credo sia questione di fallacismo o di scontro di civiltà non cessare di ricordarlo). Mettiamo pure che ciò non accadrà in Libia, di sicuro quel Paese dovrà essere tenuto con pugno di ferro e la sharia servirà. Neanche credo che ci sarà spoliazione, bensì come sempre sfruttamento delle risorse con reciproci vantaggi e qualche abuso e scandalo da tangenti, come no. Apprendo anche che Maroni ha già avuto rassicurazione dai nuovi interlocutori libici sulla continuazione degli accordi per la limitazione del flusso di migranti africani. Speriamo almeno che quei poveretti siano trattati più umanamente di come non lo fossero nelle orribili galere di Gheddafi. Anche da queste situazioni potremo capire se ne è valsa la pena, se da questa guerra orribile come tutte le guerre sia nato un progresso o meno.

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top