Mentre in Siria le stragi continuano, Europa e Usa non trovano altra strada per intervenire che proporre un inasprimento delle sanzioni contro il regime di Assad. Sanzioni che avranno l’effetto di tutte le altre sanzioni, da Cuba all’Iraq: aumentare le sofferenze della popolazione e rafforzare il regime. Nel frattempo, una lezione politica sulle sanzioni ci arriva dall’Iran, anzi: dalla Cina e dall’Iran.
L’Iran è il terzo fornitore di petrolio della Cina, che dagli ayatollah riceve il 12% del greggio che consuma. Tra aprile e gennaio 2011 le e3sportazioni di petrolio dall’Iran alla Cina hanno superato gli 8,5 milioni di tonnellate, con una crescita del 32% rispetto allo stesso periodo del 2010. La Cina riceve dall’Iran, insomma, una media di 1 milione di barili al giorno.
Ma ci sono le sanzioni, appunto. La quarta tornata di provvedimenti, tesi a far desistere l’Iran dai suoi propositi nucleari, è stata approvata con la Risoluzione 1929 dell’Onu ai primi di giugno. A essa si aggiungono le ulteriori sanzioni decise autonomamente da Usa e Unione Europea. Le banche e i movimenti internazionali di denaro sono stati il primo obiettivo, e così la Cina si è trovata in difficoltà nel saldare la bolletta petrolifera con l’Iran, che ormai ammonta a circa 30 miliardi di dollari. Risultato: l’Iran è in deficit di valuta pregiata (i pagamenti del petrolio si fanno in dollari), la sua Banca centrale stenta, la valuta iraniana (il rial) si deprezza.
Così Cina e Iran si stanno orientando verso il metodo commerciale più vecchio del mondo: il baratto. A differenza dell’India, che è un ottimo cliente del petrolio iraniano ma esporta quasi nulla in Iran, la Cina è presentissima nel Paese, e lo è con ogni genere di merci: vende all’Iran tanto ferrovie come giocattoli, cemento come computer. Il fatturato del commercio bilaterale nel 2010 ha sfiorato i 30 miliardi di dollari, con un balzo del 40% rispetto al 2009. Di roba da scambiare con il petrolio, insomma, la Cina ne ha a bizzeffe. Se poi l’accordo andasse in porto, ci sarebbe un ulteriore vantaggio, economico-politico: indebolire il dollaro (che resta la valuta principe di queste transazioni) e sbeffeggiare le sanzioni che stanno soprattutto a cuore agli Usa.