La riapertura del valico di Rafah tra la Striscia di Gaza e l’Egitto è una buonissima notizia per il milione e mezzo di palestinesi che vive nella Striscia. Si sblocca l’unico confine (di terra, aria o mare) palestinese che non sia controllato da Israele. E dopo cinque anni d’isolamento (il blocco totale era stato imposto dallo Stato ebraico dopo il rapimento del soldato Gilad Shalid nel 2006, ed era stato raffrozato nel 2007, quando Hamas aveva scacciato Al Fatah dalla Striscia) si può pensare che per quella gente arrivino tempi un po’ meno duri.
Ma in generale, è davvero una buona notizia? Israele lo vive come una minaccia. Doppia: da un lato, i miliziani di Hamas e tutti gli altri estremisti hanno più possibilità di procurarsi attrezzature e armi con cui colpire lo Stato ebraico; dall’altro, la decisione di riaprire il confine sposta su posizioni più filo-palestinesi la politica dell’Egitto, ora retto dalla Giunta militare che ha già mediato l’accordo tra Hamas e Al Fatah (altra cosa che Israele vive come una minaccia).
Ancor più scontenti di Israele credo siano Abu Mazen, Al Fatah e i palestinesi di Cisgiordania. La riapertura del valico di Rafah rafforza Hamas proprio nel momento in cui deve andare in porto la trattativa tra Hamas e Al Fatah per la formazione del Governo unitario provvisorio che dovrà portare i palestinesi a nuove elezioni entro un anno. Poco felici sono anche, di riflesso, la Giordania (dove il 60% della popolazione è palestinese) e il Libano (i palestinesi, profughi e non cittadini, sono pari a circa il 12% dei 4 milioni di libanesi). Tutti gli altri Paesi del Medio oriente hanno, oggi, ben altri problemi.
Anche gli Usa vengono dati per scontenti. Cosa di cui, personalmente, sono poco convinto. Barack Obama si è battuto al G8 di Deauville (Francia) perché fosse varato un Piano Marshall per i Paesi del Maghreb in rivolta e ha deciso di cancellare un miliardo di dollari di debiti dell’Egitto verso gli Usa e di concedergli nello stesso tempo una linea di credito per il rilancio economico da un miliardo di dollari. Nessun politico regala 2 miliardi di dollari senza avere un corrispettivo. E la Giunta militare egiziano non è certo nella posisione di sfidare, solo per amore di Hamas e dei palestinesi di Gaza, il suo più munifico protettore.
La mia sensazione è che Obama si sia stancato di andare a sbattere contro i veri blocchi che impediscono un’evoluzione più moderna e democratica del Medio Oriente: da un lato l’Iran e dall’altro il duo Israele-palestinesi (se vogliamo, Israele-Hamas), due intransigenze abbracciate che si sostengono reciprocamente. Gli Usa, per ragioni diverse ma ugualmente forti, non possono invadere l’Iran né abbandonare la politica di sostegno di Israele. Così, non potendo cambiare queste situazioni-chiave, fanno il possibile per cambiare tutto il resto, tutto intorno.
Mubarak (Egitto) e Ben Alì (Tunisia) sono già stati liquidiati. Gheddafi (Libia) è sulla buona strada. Alì Abdullah Saleh (Yemen) barcolla e attende invano un aiuto dagli Usa, pure tradizionali alleati. Assad (Siria) fa strage di cittadini inermi ma gli Usa gli chiedono di avviare le riforme, per metterlo in crisi senza consegnare la Siria all’Iran. In questo quadro, quanto potranno resistere Iran e Israele senza rassegnarsi a una modifica del loro atteggiamento nei confronti del resto del Medio Oriente?
Caro Fulvio, non c’è dubbio che si vadano aprendo nuovi scenari. Il fatto che Obama faccia questo sforzo economico per il nuovo Egitto è incoraggiante, e dovrebbe essere una garanzia contro eventuali slittamenti estremistici verso l’islamismo. Il pericolo c’è, perché i Fratelli Musulmani avranno una bella fetta di potere e gli arabi non sono famosi per coerenza o gratitudine, e quelli di Hamas non sono solo “quattro folii barbuti” come hai scritto altrove.
I palestinesi in Giordania furono massacrati nel settembre nero, in Libano furono massacrati e non sono mai stati integrati, anzi sono un po’ disprezzati a quanto ne so; ora sono curioso di vedere che tipo di rapporti si instaureranno tra egiziani e palestinesi (ai quali i primi vendevano le merci dei tunnel a prezzi triplicati ), considerando la nota propensione dei palestinesi a condizionare gli stati arabi dell’area ai loro interessi.