WOJTYLA, IL PAPA CHE NON ERA PACIFISTA

«Non sono un pacifista, nel senso che non voglio la pace ad ogni costo ma la pace nella giustizia». Era il febbraio del 1991, la Guerra del Golfo era ancora in corso e Papa Giovanni Paolo II, durante una visita alla parrocchia romana di Santa Dorotea, pronunciò queste parole. Un Papa non «pacifista», una sorpresa? Non per chi abbia della predicazione e della biografia del Papa polacco una conoscenza un po’ più ampia e articolata.

Giovanni Paolo II mentre riceve George W. Bush.

Giovanni Paolo II mentre riceve George W. Bush.

Poche settimane prima, nell’incontro con il corpo diplomatico, Wojtyla aveva ricordato agli ambasciatori presso la Santa Sede che la pace ottenuta con la guerra non fa altro che preparare nuove violenze. Nel 2002, ad Assisi, durante la giornata di preghiera ecumenica per la pace, avrebbe ripetuto: «Le tenebre non si dissipano con le armi; le tenebre si allontanano accendendo fari di luce». E tredici anni dopo la visita a Santa Dorotea, il 16 marzo del 2003, in un estremo tentativo di scongiurare l’attacco anglo-americano all’Iraq che sarebbe invece scattato pochi giorni dopo, un Papa ormai segnato dalla malattia avrebbe insistito: «Dobbiamo opporci con fermezza alla tentazione dell’odio e della violenza, che danno solo l’illusione di risolvere i conflitti ma procurano perdite reali e permanenti».

Pace e giustizia, dunque, come elementi inscindibili. Agiva su Giovanni Paolo II l’esperienza della seconda guerra mondiale. Un’ecatombe di morte e distruzione che per centinaia di milioni di persone non aveva preparato un mondo più libero e giusto ma una forma diversa di oppressione e ingiustizia. Il Papa che pure ribadiva il «diritto-dovere all’ingerenza umanitaria» (e con particolare energia nel 1992, quando la Bosnia era martellata e strangolata dall’assedio della Serbia) sapeva, per averlo provato sulla propria pelle di europeo, che la vittoria delle armi, e persino la vittoria delle armi dei «giusti», non garantisce la vera pace.

Che fare, quindi, in un mondo in cui i conflitti parevano moltiplicarsi? Conflitti che erano arrivati a coinvolgere la persona del pontefice, colpito nel 1981 in un attentato che, come testimoniano rivelazioni anche di questi giorni, era forse organizzato per eliminare lui, attaccare Solidarnosc e riportare l’ordine in Polonia e nel barcollante blocco sovietico. La risposta di Wojtyla fu sempre chiarissima: «Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono».

Giovanni Paolo II con il rabbino Toaff durante la visita alla sinagoga di Roma.

Giovanni Paolo II con il rabbino Toaff durante la visita alla sinagoga di Roma nel 1986.

Era questo il titolo del messaggio per la Giornata mondiale della pace celebrata il 1 gennaio del 2002. «La giustizia», diceva il messaggio, è «virtù morale e garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e sull’equa distribuzione di benefici e oneri». Ma la giustizia degli uomini è fragile, imperfetta. Va quindi «esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati».

Si capisce meglio, alla luce di queste parole, anche lo «stile» complessivo del papato di Karol Wojtyla. Dai momenti eclatanti, come la visita alla sinagoga di Roma (1986) o la preghiera presso il Muro del pianto a Gerusalemme (2000) a quelli all’epoca ben valutati nella dimensione religiosa ma forse trascurati nel laboratorio wojtyliano della costruzione della pace: la visita in Romania (1999), quella in Siria (2001) o quella nel Regno Unito (1982). Li abbiamo accostati in modo non casuale. Giovanni Paolo II fu infatti il primo Papa a visitare un Paese a maggioranza ortodossa dallo scisma del 1054, il primo a visitare una moschea (quella degli Omayyadi a Damasco) e il primo a visitare il Regno Unito e a inginocchiarsi in preghiera con l’arcivescovo di Canterbury, Robert Runcie. Perché la pace va, appunto, costruita, e ha come fondamenta il perdono, la conoscenza e la comprensione reciproca.

Ecco allora i viaggi (104 solo quelli all’estero) ma anche l’incontro con i fedeli: 17 milioni e mezzo quelli che hanno partecipato alle 1.160 udienze del mercoledì in Vaticano. Il dialogo con i potenti della terra (738 udienze e incontri privati con capi di Stato e 246 udienze con primi ministri) ma anche con il popolo delle parrocchie. Perché di tutti i costruttori di pace, Giovanni Paolo II volle essere il primo. A crederci, a muoversi, a impegnarsi.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 1 maggio 2011

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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