GHEDDAFI E IL FUTURO DEL MEDIO ORIENTE

Ora che anche l’Italia ha bombardato le forze fedeli a Gheddafi, sarà bene prendere coscienza della grande responsabilità che parte dell’Occidente, trainato da Usa, Francia e Gran Bretagna, si assume nei confronti di una parte ancor più vasta del mondo: il Medio Oriente. Fino a oggi, nel lungo e faticoso processo politico e diplomatico che ha portato alla risoluzione 1973 dell’Onu, quella appunto che legittima l’intervento di queste ore, abbiamo sentito parlare soprattutto di noi: paure da fugare, speranze da realizzare, interessi economici da difendere. Tutto giusto, legittimo. Ma non è questo il punto, o lo è solo in parte.

libia

La vera questione da risolvere è là, sulla sponda Sud del Mediterraneo. Riguarda il destino di una regione che va dal Marocco all’Iran e il futuro di 350 milioni di persone che per il 30% hanno meno di trent’anni, oppressi da una lunga serie di dittature e regimi autoritari e insediati su distese aride che nascondono enormi ricchezze naturali. La crisi drammatica della Libia ha occupato tutti i nostri pensieri, ma il rivolgimento è totale e i fermenti si susseguono. Un referendum costituzionale in Egitto, manifestazioni sanguinose nello Yemen, agitazioni in Tunisia, riforme in senso democratico e federalista annunciate dal re del Marocco, addirittura un’invasione militare (curioso, che si abbia tanta ritrosia a chiamarla col suo nome quando riguarda un Paese «amico») dell’Arabia Saudita in Bahrein, dove la maggioranza sciita chiede più spazio e rappresentatività. Per non parlare dell’Iran, dove il movimento riformista è tenuto a bada solo dai manganelli del regime, e poi della Siria, del Libano, dell’Iraq, della Giordania.

Impedendo a Gheddafi di proseguire nelle sue stragi, l’Occidente che ha deciso di intervenire accetta di investire sul vento della protesta, sull’evidente desiderio di riforme che agita il Medio Oriente. Ci sono molti segnali importanti (per esempio, l’evidente laicità delle rivolte, che hanno travolto anche i movimenti islamisti, come pure la partecipazione del Qatar alle operazioni militari sulla Libia), ma nella politica internazionale i pasti gratis non esistono. È possibile, quindi, che sfasciare i carri armati del raìs appostati alle porte di Bengasi sia il minore dei compiti, soprattutto per eserciti potenti come quelli francesi, americani e inglesi. E che il lavoro duro venga dopo, quando bisognerà soddisfare le aspettative di tanti popoli e, nello stesso tempo, difenderle dalle speculazioni (Hamas, Hezbollah, l’Iran non stanno certo a guardare) e dal caos incombente. Si parrà, qui, la nobiltà della presidenza Obama e la lungimiranza di un Sarkozy in patria incalzato dalla destra estrema e come non mai smanioso di menare le mani.

La partita libica, quindi, ha oggi un valore pratico e simbolico insieme. Gheddafi se ne deve andare, questo è il succo al netto delle frasi fatte e delle formule da cancelleria. La sua fuga sarebbe una lezione enorme, dopo quelle di Mubarak in Egitto e di Ben Alì in Tunisia. Un Maghreb almeno in parte più democratico consentirebbe di regolare meglio questioni urgenti e comunque spinose (quella delle migrazioni, cancellando anche la vergogna di aver appaltato a Gheddafi il ruolo di gendarme del Mediterraneo, ma anche il mercato del petrolio) e avvierebbe un effetto domino in tutto il Medio Oriente, come peraltro sta giù succedendo.

È in questa prospettiva che vogliamo credere nelle ore drammatiche in cui sta partendo una guerra alle porte di casa nostra. Anche perché in essa, assai più che nelle Risoluzioni, risiede la legittimità e la giustificazione di azioni militari in cui, comunque, moriranno essere umani e altre sofferenze saranno inflitte a civili disarmati e innocenti.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. Enrico Usvelli said:

    Nel 2009, all’indomani del discorso di Obama al Cairo scrivevi:

    Le parole “crescita”, “benessere”, “diritti umani”, “democrazia”, “prosperità”, fino all’accenno ai Paesi che vendono le proprie risorse (leggi: petrolio) invece di ambire a un più armonioso e completo sviluppo, suonano banali a noi ma certo non alle masse impoverite o disperate di tante parti del mondo islamico

    Quanto secondo te, alla luce dei fatti odierni, quel discorso ha effettivamente influenzato i giovani arabi ?
    E se quel discorso fosse veramente alla base della nascita di Stati più democratici, non avrebbe dimostrato il presidente USA di meritare il Nobel che ha avuto ‘sulla fiducia’?

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Enrico,
    mi fai un grande onore ricordando quel pezzo. Non posso che riconfermare: a volte noi non ci rendiamo conto che decine di milioni di mediorientali osservano il nostro modo di vivere, lo confrontano col proprio e tirano le conseguenze. Una delle loro risposte è l’emigrazione verso i nostri lidi, l’altra… è quella che abbiamo visto in queste settimane. Così com’è, l’assetto del Medio oriente non regge più. Sono un po’ più scettico sui meriti di Obama. Mi pare che il Presidente abbia le intuizioni giuste ma non sempre la forza politica per metterle in pratica.
    Ciao, a presto

    Fulvio

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