BIRMANIA, LA VECCHIAIA DEL GENERALE

“Niente può essere raggiunto senza la partecipazione della gente”. Il 14 novembre dell’anno scorso, nel primo discorso pubblico dopo più di 7 anni di arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi rivolse queste parole alla folla di 40 mila persone corsa a salutarla. Una grande festa di popolo che si svolgeva una settimana dopo le elezioni politiche, tappa fondamentale verso la “democrazia disciplinata” promessa dalla giunta militare, che aveva però fatto in modo di escludere la protagonista più attesa e significativa.

Nei giorni scorsi milioni di birmani hanno scoperto che il progetto  del generale Than Shwe, 78 anni,

Il generale Than Shwe, 78 anni, da vent'anni al potere in Birmania.

Il generale Than Shwe, 78 anni, da vent'anni al potere in Birmania.

prevede, al momento, molta più disciplina che democrazia. La prima seduta del nuovo Parlamento si è svolta quasi in segreto, nella capitale costruita allo scopo a Naypyidaw, in una zona remota del Paese, con gli accessi via terra e via aria rigidamente bloccati. Nessun giornalista straniero a seguire i lavori, nessuna immagine del parlamento, nemmeno dall’esterno. Per non parlare della distribuzione dei 660 seggi: un quarto è riservato ai militari e l’80% del resto è stato raccolto dell’Usdp, il partito diretto da Thein Sein, primo ministro e braccio destro di Than Shwe. Gran parte dei deputati eletti in novembre, inoltre, sono ufficiali dell’esercito che hanno lasciato la divisa per accedere alla politica da “civili”, ma la cui fedeltà alla giunta è fuor di dubbio.

In quello stesso discorso del 14 novembre Aung San Suu Kiy aveva esortato i birmani a “non perdere la speranza”. A dispetto del quadro fosco, però, e del bando imposto dai generali al suo partito (Lega Nazionale per la Democrazia), qualcosa si sta muovendo anche in Birmania. Il nuovo Parlamento dovrà eleggere il prossimo Presidente. Non c’è molta scelta: toccherà a Than Shwe, che in quel caso lascerà l’uniforme, o a uno dei suoi “vice” (Thein Sein o Thura Shwe), e in quel caso l’anziano generale tirerà le file da dietro le quinte. Nessuna cosmesi, però, potrà nascondere lo smottamento che già si avverte nei lineamenti della giunta.

Aung San Suu Kiy, la pasionaria della democrazia in Birmania.

Aung San Suu Kiy, la pasionaria della democrazia in Birmania.

Dall’Australia, Paese che segue con cura le vicende birmane, giungono indiscrezioni sulla frettolosa svendita di beni pubblici che gli alti gradi dell’esercito compiono a favore di prestanome o familiari. Ricca di risorse naturali, la Birmania è stata consegnata dai generali a una gestione non solo non liberale ma anche inefficiente dell’economia, con il 33% della popolazione sotto la soglia della povertà e il 33% della ricchezza nazionale concentrata nelle mani di un 10%  di privilegiati. Dal 1990, inoltre, Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Australia hanno imposto alla Birmania una serie di sanzioni commerciali e finanziarie. Come tutti gli embarghi, anche questo è stato spesso criticato, e con buone ragioni: la giunta è rimasta al potere, tra le sanzioni europee e quelle americane c’è molta differenza nell’applicazione, la Cina ne ha approfittato per aumentare la propria influenza.

Ma un regime incapace quasi a tutto come quello di Than Shwe ha trovato anche nelle sanzioni un ostacolo difficile da superare. In più è arrivata la crisi economica mondiale, le rimesse dall’estero sono calate, molti emigrati sono rientrati in patria. Una miscela diventata facilmente infiammabile al contatto con la democrazia negata dall’ormai lontano 1990. Sarebbe imprudente aspettarsi un rapido evolvere positivo della situazione. Ma quel Parlamento prigioniero di se stesso e dei suoi posti di blocco racconta meglio di qualunque analisi la paralisi di un potere ormai troppo vecchio persino per essere feroce.

Pubblicato su Avvenire dell’1 febbraio 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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