DALL’IRAQ ALL’EGITTO, BRUCIANO LE CHIESE

E’ difficile stabilire se l’attentato suicida che ha fatto 22 morti davanti alla chiesa dei Santi, nel quartiere Sidi Bishr di Alessandria d’Egitto, abbia realmente qualche connessione con le farneticanti minacce che l’ala irachena di Al Qaeda aveva recapitato, meno di un mese fa, all’arcivescovo di Kirkuk (in Irak, appunto), monsignor Louis Sako. Nè se i colpi inferti proprio alle chiese (sia in Irak sia in Egitto, appunto) rispondano a un piano preordinato o siano solo il frutto della necessità del momento.

I resti dell'autobomba usata ad Alessandria d'Egitto per l'attentato contro la chiesa dei Santi.

I resti dell'autobomba usata ad Alessandria d'Egitto per l'attentato contro la chiesa copta dei Santi.

In quell’occasione, a Kirkuk, i terrosti avevano fatto riferimento al caso di alcune donne musulmane che i cristiani copti d’Egitto avrebbero convertito a forza, per poi tenerle recluse in un monastero nel deserto del Sinai. E avevano per questo minacciato i cristiani iracheni. La strage, invece, si è abbattuta sui cristiani egiziani, lasciando uno strascico di scontri tra cristiani esasperati e polizia nella stessa Alessandria. I copti, va ricordato, avevano pianto una vittima anche pochi giorni prima di Natale, quando erano dovuti scendere in strada, al Cairo, per protestare contro il blocco imposto alla costruzione di una chiesa e la polizia aveva ucciso uno dei manifestanti.

Detto dell’impossibilità di accertare se Al Qaeda sia ancora qualcosa di più di un marchio di fabbrica e se davvero le sue azioni rispondano a una strategia internazionale (nel qual caso la domanda vera sarebbe: chi la delinea? Chi la dirige?), resta però il fatto, indiscutibile, che la galassia del terrorismo islamico mantiene intatta la capacità di infilarsi in ogni piccola crepa che si manifesti in qualunque Paese del Medio Oriente e dell’Africa.

Un paio d’anni fa temevamo che si riaccendesse l’Algeria. Poi ci è stato spiegato che la Somalia stava diventando un nuovo Afghanistan. Quindi è toccato allo Yemen. Infine, e all’apparenza di colpo, si sono riaccesi l’Irak e l’Egitto. In realtà il terrorismo va a colpire dove percepisce una debolezza strutturale da sfruttare. L’Irak, sarà bene ricordarlo, è rimasto per nove mesi senza Governo. E quando finalmente è nato, il secondo Governo di Al Maliki si è presentato come un pastiche di influenze varie (anche straniere: Siria, Iran, Arabia Saudita), destinato a durare soprattutto in virtù della propria impotenza. Per far esplodere la tensione, i cristiani iracheni sono un bersaglio ideale: pochi (dal 2003 la comunità cristiana si è dimezzata: da circa 850 mila a poco più di 400 mila persone), deboli, privi di qualunque protettore o padrino politico. Immobili e inermi, impossibilitati persino a vendicarsi.

In Egitto la situazione è analoga. Il presidente Hosni al Mubarak dirige il Paese dal 1981. Le elezioni politiche del dicembre 2010 sono state l’ennesima farsa, con l’unica vera opposizione (purtroppo quella a sfondo islamico che si raduna intorno ai Fratelli Musulmani) espulsa dalle liste elettorali. I cristiani copti sono numerosi (tra 6 e 10 milioni di egiziani sui 70 complessivi; 6 secondo il governo, 10 secondo la loro Chiesa) ma restano cittadini di serie B, con diritti limitati e un’intolleranza sociale da parte della maggioranza musulmana a malapena compressa. Anche qui come in Irak: colpire i cristiani è facile e produce risultati sicuri in un Paese in cui la strategia della tensione, più ancora che a loro, mira a Mubarak e alla sua finzione di democrazia.

In ogni caso ha ragione papa Benedetto XVI: la persecuzione dei cristiani, ha sottolineato durante la messa del primo dell’anno, necessita di azioni concrete. Basta con le parole e con i proclami. Riconosciamola per quello che è: una delle grandi emergenze civili del nostro tempo. Come tale, deve diventare oggetto dell’interesse e soprattutto dell’intervento delle istituzioni internazionali, tanto come lo è, per fare qualche esempio, il conflitto tra israeliani e palestinesi o il progetto nucleare dell’Iran.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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