L’URANIO? LO METTO IN BANCA

Dal 2003, cioè da quando fu chiaro che l’Iran era riuscito ad avviare una più che discreta attività nucleare, il grande spavento della comunità internazionale ha preso due strade. Da un lato, le pressioni diplomatiche (e le sanzioni, e le minacce) sull’Iran, oltre alle manovre per stendere intorno al Paese degli ayatollah un “cordone sanitario” teso a soffocare la presunta o reale minaccia in culla. Questo è ciò che abbiamo visto tutti, e che ancora vediamo quasi ogni giorno nei Tg.

Uranio a basso arricchimento stivato nei contenitori.

Uranio a basso arricchimento stivato negli appositi contenitori ermetici.

L’altro aspetto della reazione è stato assai meno tattico e più strategico, con uno sguardo di lungo periodo. Ed è in gran parte sfuggito all’amplificazione dei mezzi d’informazione. La sua prima realizzazione pratica si è avuta pochi giorni fa quando la Russia (attraverso il proprio ente atomico Rosatom) e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica hanno inaugurato ad Angarsk, in Siberia (nella regione di Irkutsk, a qualche decina di chilometri dal lago Baikal), la prima Banca per l’uranio a basso arricchimento. L’iniziativa è la prima del genere ad andare in porto ma le proposte sono una dozzina e almeno un’altra pare destinata a essere realizzata in tempi relativamente stretti: una Banca d’iniziativa americana, già approvata dal direttivo della stessa Agenzia, finanziata dal Governo Usa, dall’Unione Europea, dal Kuwait, dalla Norvegia e dagli Emirati Arabi Uniti, oltre che dal miliardario Warren Buffet, che metterà di suo 50 milioni di dollari. Questo deposito dovrebbe essere situato a Ust Kamenogorsk, città metalurgica del Kazakstan.

Perché mettere l’uranio a basso arricchimento in “banca”? E che c’entra questo con l’Iran? L’uranio per usi civili è appunto quello che richiede un basso arricchimento: dal 2 al 4,95%. Nell’impianto di Angarsk dovrebbero esserne stivate 120 tonnellate, che basterebbero a “nutrire” di elettricità ed energia una città di 12 milioni di abitanti per un anno intero. Il procedimento per arricchirlo, però, è in pratica uguale a quello che serve per ottenere l’uranio della bomba atomica, che è uranio arricchito al 20%. La facilità di passare dall’uso civile a quello militare è appunto ciò che rende preoccupante il fatto che a giocare con il nucleare siano gli ayatollah ma anche qualunque altro regime che riesca nell’impresa (non impossibile, come la Corea del Nord dimostra) di procurarsi la tecnologia necessaria.

Irkutsk e il lago Baikal: in questa regione della Siberia sorge la città di Argansk.

Irkutsk e il lago Baikal: in questa regione della Siberia sorge la città di Argansk.

Le banche dell’uranio” rispondono proprio a questa preoccupazione intervenendo alla radice. Perché un Paese pacifico dovrebbe affannarsi a costruire impianti costosi e comunque “sospetti” quando le banche dell’uranio, poste sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (quindi, dell’Onu), potrebbero intervenire per rispondere a qualunque emergenza nelle forniture di uranio, da una crisi dei trasporti a un confronto politico internazionale? Sei, per esempio, l’Ucraina e temi che l’uranio arricchito che prendi dalla Russia possa smettere di arrivare perché è sorto tra i due Paesi un contrasto sui diritto di transito del gas russo sul territorio ucraino. Se hai dietro le spalle la banca dell’uranio, sai che non devi preoccuparti. E così via, di Paese in Paese. Se la rete della banche si svilupperà, inoltre, sarà molto più facile tenere d’occhio le riserve di uranio e i movimenti del mercato mondiale dell’uranio, rendendo così più difficile la vita a eventuali “Paesi canaglia” che volessero arrivare alla bomba atomica.

L’idea non è malvagia, anche se poi, quando si passa dalla carta alla realtà, qualche magagna spunta sempre. Lo statuto della Banca fondata ad Angarsk, per esempio, dichiara che a essa possono “associarsi” tutti i non nuclear weapon State, cioè gli Stati che non hanno armi nucleari. Ma il Trattato di non proliferazione nucleare considera tali tutti i Paesi che non hanno fatto esplodere una bomba atomica sul proprio territorio prima del 1 gennaio 1967. Secondo la lettera del Trattato, dunque, non sarebbero “Paesi con la bomba” nè l’India né il Pakistan, né Israele né la Corea del Nord. Insomma, bisognerà lavorarci ancora sù.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top