FINZI: “LA DEMOCRAZIA NASCE IN PIAZZA”

di ELISA CHIARI

L’Italia scende in piazza, dai pastori sardi ai ricercatori universitari, dagli studenti alla Fiom passando per Terzigno dove la vicenda è caldissima. Chiediamo al sociologo Enrico Finzi, fondatore di Astra Ricerche: è la reazione a una crisi profonda o siamo sull’orlo di una crisi di nervi?
«Siamo nella perfetta normalità. La storia d’Italia tutta è una storia di movimenti di piazza, di strada. La piazza è luogo di incontro dei manifestanti più diversi e magari contraddittori tra loro. Strani, semmai, sono stati gli ultimi anni, anni di addormentamento rispetto a questa tendenza, la quale, al di là di singoli episodi violenti o di infiltrazioni, è un fenomeno positivo. Già il termine manifestazione è positivo, indica che la gente manifesta, rende esplicite, passioni, indignazione, partecipazione».

Un corteo di protesta contro la riforma Gelmini della scuola.

Un corteo di protesta contro la riforma Gelmini.

– È un momento caldo, non solo in Italia…
«Si guardi a quanto accade in Francia: una mobilitazione generale a partire dal tema delle pensioni che si è estesa agli studenti. È un fatto fisiologico: la democrazia è confronto e conflitto. Anomalo è il fatto che si sia affermata una idea passiva dei comportamenti sociali, in cui uno vota una volta ogni quattro anni e poi si addormenta, mentre la fisiologia della democrazia è il confronto. E’ quanto avviene anche con i Tea Party negli Usa. Ci sono sempre cascami violenti, ma gli altri sono segni positivi del risveglio da un lungo sonno».

– Un risveglio positivo, dunque. Ma perché ci siamo addormentati?
«Io penso al rincretinimento dovuto alla Tv, alla fruizione passiva che essa comporta. La Tv in sé non è un male, ma lo diventa quando rimane sola, quando non ha più attorno altri luoghi di dibattito, siano essi sezioni di partito, circoli culturali o altro».

– È un fatto tipico di casa nostra?
«C’è un motivo specifico tutto italiano in questo: il tentativo di uccidere la democrazia rappresentativa. Aver abrogato il sistema proporzionale, aver abrogato le preferenze, aver fatto sì che tutti gli eletti siano di nomina di gruppi ristrettissimi se non di una singola

Enrico Finzi

Enrico Finzi

persona, ha tolto alle articolazioni sociali, a quelli che nel mondo cattolico si chiamavano “i corpi intermedi”,  la possibilità di avere una rappresentanza. Si prenda il Governo attuale o anche il precedente, dicono: noi che siamo stati investiti del mandato della maggioranza. Ora Berlusconi e i suoi hanno preso il 35% dei voti sul totale dell’elettorato e nel Governo precedente Prodi e i suoi avevano il 31%: stiamo parlando di una democrazia in cui le scelte in realtà vengono fatte da una minoranza, che non dà voce alla società».

– Perché aquesto diventa un problema?

«Perché le voci che non hanno modo di esprimersi si incattiviscono. L’assenza di rappresentanza è una minaccia per la democrazia, perché la democrazia è una teatralizzazione del conflitto, è un’invenzione nata in Europa, in risposta a conflitti reali e violenti, quando cattolici e protestanti si ammazzavano nella guerra dei Trent’anni con genocidi di massa. Anche in democrazia si usano termini bellici: “l’avversario”, “vincere”, “schiacciare”. Ma c’è una bella differenza tra mimare la violenza ed esercitarla».

– Può funzionare con ogni forma di dissenso?
«Anche il mondo cattolico che per secoli ha avuto una grande difficoltà a capire questo, ha trovato una progressiva assunzione della democrazia come la modalità ottimale per esprimere la militanza sociale delle persone che hanno uno spirito religioso. C’è stato
un matrimonio tra cattolicesimo e democrazia, di cui Famiglia Cristiana a mio avviso è un’espressione eccellente, che implica quattro cose: il diritto dell’altro ad esprimersi, la grande forza nell’affermare i propri valori, il conflitto tra opinioni diverse e confessioni diverse mantenuto all’interno di un sistema di regole condivise e un generale orientamento della società a essere, come si dice oggi con termine sociologico, inclusiva. Una società di cui ciascuno, pur dissentendo dalla maggioranza, si sente parte».

– Fino a che punto la conflittualità teatralizzata riesce a impedire quella armata?
«Al di là di quello che pensano i reazionari, la protesta di piazza è positiva perché funziona come la valvola di sfogo che impedisce alla pentola a pressione di esplodere: il dissenso non violento è la migliore soluzione al rischio che il dissenso represso esploda con violenza».

– Che cosa difende chi protesta?
«Sono persone che si preoccupano per il futuro, in un modo o nell’altro: gli abitanti di Terzigno, che abbiamo ragione o no, e da quel che ho capito ce l’hanno,  sono madri e padri che, al di là delle drammatiche infiltrazioni camorristiche, manifestano per la salute propria e dei figli. Anche il mondo della scuola, che oggi vive tra l’altro uno dei momenti meno politicizzati della propria storia, non può non avvertire il disastro di una sedicente riforma, mentre stiamo assistendo alla distruzione del futuro delle giovani generazioni attraverso il progressivo soffocamento della scuola, che è il primo e più democratico strumento di mobilità sociale. Che possibilità ha il figlio di un poveraccio? L’unica è andare bene a scuola, farsi apprezzare, procurarsi una borsa di studio e provare a entrare nei segreti ambienti della classe dirigente. La mobilità sociale verticale ascendente, come diciamo noi sociologi, cioè la possibilità di migliorare la propria posizione sociale, parte dalla scuola».

– C’è chi giudica già eversive le proteste troppo rumorose
«Mi fa ridere chi bolla quelli che fischiano un sindacalista come terroristi, perché qualunque sindacalista serio si è sempre preso i fischi di qualcuno. Andare in piazza vuol dire avere gente che consente e gente che dissente”.

– Che cosa spinge di più la protesta: gli interessi materiali o quelli spirituali?

«Due cose determinano la rabbia: la disperazione materiale, che sta innegabilmente crescendo; e la disperazione etica, che non è più una questione di reddito, di soldi, ma della sensazione di una totale impotenza, perché il male con “m” maiuscola o minuscola domina ovunque. È chiaro che non  è questo il caso,  però se si riflettesse su forme di virulenza molto forti si scoprirebbe che non tutto è portafoglio».

– C’entra qualcosa la fatica di immaginarsi un futuro?

«Molto, è quella che io chiamo la malattia del futuro. Restano dei privilegiati, me incluso, ma studiando questo Paese vedo che, per dirlo con una battuta stupenda scritta su un muro da un anonimo, “non c’è più il futuro di una volta”. Si pensi all’assenza di speranza di troppi giovani, che si sentono come topolini in una scatola senza via d’uscita. Noi siamo animali culturali, non soffriamo solo per motivi materiali ma anche culturali, etici, e non tutti hanno la forza di trovare dentro di sé, nella fede, una via d’uscita”.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Un Commento;

  1. Enrico Usvelli said:

    Oh, qualcuno che non individua nella sindrome NIMBY la causa delle varie proteste!
    Si vede che Finzi ha della testa, non per niente si chiama Enrico come me 🙂

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