IL PASTORE JONES, QUANTO CI SOMIGLIA!

Lo scompiglio e l’allarme creati dal pastore Terry Jones (ma poi pastore di che? E di chi?) negli Usa e nel mondo con l’idea di bruciare ritualmente il Corano nell’anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001, possono essere spiegati in due modi. Jones è il solito megalomane (o pazzo, o squilibrato, fate voi) che approfitta della libertà di parola e movimento che regna in America e della potenza dei media per conquistare il famoso «quarto d’ora di celebrità». A metà strada, insomma, tra quelli che entrano in una scuola e sparano su professori e studenti e quelli che fanno gli stravaganti in tv. In questo caso Jones sparirà con il clamore che ha destato la sua provocazione, peraltro fin troppo azzeccata.

Il pastore Terry Jones.

Il pastore Terry Jones.

Proprio il fatto che un rozzo come Jones sia riuscito a impadronirsi così bene della scena, però, ci fa capire che la teoria del megalomane non è adeguata ai fatti. Il seme del predicatore è caduto su un’America che, in percentuale troppo consistente, era già pronta a raccoglierlo e innaffiarlo. Su quel 18% dell’elettorato (che diventa il 31% tra i repubblicani) che ancora crede che Barack Obama sia musulmano. Su coloro che seguono le trasmissioni in cui il telepredicatore Glenn Beck ripete come un mantra che la riforma sanitaria di Obama è un trucco per distribuire sussidi tra i neri, lo stesso Beck che ha convocato a Washington una grande manifestazione di destra nel giorno e nel luogo in cui, 47 anni prima, Martin Luther King, lui sì un vero eroe americano, aveva pronunciato il famoso discorso «Io ho un sogno».

Sui politici senza vergogna che descrivono l’eventuale Centro islamico in costruzione a due isolati da Ground Zero come «una moschea sul cimitero». Su tutti quegli americani, insomma, che non hanno ancora metabolizzato l’11 settembre ma, soprattutto, non hanno recepito la lezione fondamentale: gli Usa, non a causa degli attentati ma della reazione dell’amministrazione Bush, non sono più il Paese che da solo può dettare il passo del mondo. Non hanno capito, ma «sentono» l’aria diversa e reagiscono in questo modo scomposto. È l’America dei Tea Party, il movimento populista che si nutre di tv e di retorica, di malcelato razzismo e di un’aspirazione liberista che è più forte (vedi l’Alaska di Sarah Palin, 46° Stato su 52 per attività economica ma primo assoluto nei fondi ricevuti dal Governo centrale), proprio dove la gente più approfitta della generosità dello Stato.

In tutto ciò ancora una volta, e questa volta purtroppo, l’America si rivela maestra e traino per l’Europa. Pensiamo a Sarkozy in crisi di consenso e alla cacciata dei rom, agli insulti che piovono sul cardinale Tettamanzi per la questione della moschea a Milano, ai nostri respingimenti, ai movimenti razzisti che si sviluppano nei civilissimi Paesi del Nord. Al paradosso di una società che non fa più i figli, ma nello stesso tempo è rancorosa e ostile nei confronti degli immigrati, di giorno in giorno più indispensabili. Per molti secoli la cultura politica occidentale è stata all’avanguardia, la più pronta nell’afferrare il senso del cambiamento e nell’analizzarlo. Oggi non è più così. Il mondo si trasforma sotto i nostri occhi e il processo sembra produrre solo angoscia e paura. Pochi riescono a cogliere le straordinarie opportunità di crescita e rinnovamento che il nuovo sviluppo di Paesi di antica civiltà ci offre. Agli altri, invece, basta il Terry Jones di turno.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo dell’11 settembre 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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