LE MANETTE A DE SANTIS NO. E GLI ALTRI?

Qualche giorno fa i più celebri commentatori dei più grandi giornali italiani si sono raccolti intorno allo stesso tema: l’inutile umiliazione inflitta a Fabio De Santis, ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana, coinvolto negli scandali sugli appalti del G8 dell’Aquila, condotto dal carcere al Tribunale ammanettato, e con le manette bene in vista.

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Si tratta di un imputato in attesa di giudizio, accusato di reati finanziari e non di sangue. Un imputato che, secondo il nostro ordinamento giuridico, e a dispetto di qualunque indizio e qualunque accusa, è al momento innocente e potrebbe sempre essere assolto. Bene hanno fatto, dunque, gli illustri colleghi a muovere la penna contro questa mancanza di umanità. Eppure…

Eppure mi aspetterei, dagli stessi commentatori, un po’ più di rispetto per i detenuti comuni. E vi dico per quali ragioni tutto quello sfoggio di umana comprensione per De Santis nasconda anche un pizzico dell’anima brutale di questo nostro Paese.

  1. Con grande pazienza, i funzionari del carcere di Sollicciano (Firenze) e gli agenti di sicurezza hanno spiegato che per la “traduzioni multiple” (cioè quando occorre portare in Tribunale più di un detenuto alla volta) le manette sono obbligatorie, da regolamento. Si poteva organizzare ua traduzione singola, speciale per De Santis? Forse sì, se il carcere avesse avuto gli uomini e i mezzi che non ha. D’altra parte c’è la crisi, no? O c’è la crisi per i pensionati e gli operai di Pomigliano ma non per De Santis?
  2. Non uno dei commentatori ha fatto un riferimento, fosse anche solo di una riga, ai 31 suicidi (con 46 tentati suicidi) che si sono avuti nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Così, a naso, direi che quelli sono comunque casi più penosi e inquietanti di quello, pur penoso e inquietante, di De Santis. Se non è così, mi spieghino almeno come pensano di impedire altri casi De Santis senza provvedere alla bonifica di un sistema carcerario dove morire è tanto facile, visto che dal 2000 a oggi ci sono stati 1.688 morti e 589 suicidi.
  3. Nel 2001 Amnesty International condannò l’Italia per l’eccessivo affollamento delle carceri. Sono passati quasi dieci anni ed ecco come siamo messi: l’indice di affollamento è 157% (i detenuti, cioè, sono più di una volta e mezzo i posti letto), rispetto ad una media Ue del 96%. L’Italia è in coda anche ai  47 Stati del Consiglio d’Europa, compresi Cipro, Serbia e Russia. “Tra il 2007 e il 2008”, ha denunciato l’Associazione Antigone, “si è registrato un tasso di crescita della popolazione carceraria del 22,5%, mentre nello stesso periodo Paesi come il Portogallo hanno ridotto il numero di detenuti con l’introduzione di pene e misure alternative alla depenalizzazione di alcuni reati”.
  4. Siamo un Paese di criminali? No, visto anche che tutte le statistiche dimostrano che il crimine da noi è in calo (meno 20% le rapine in banca nel 2009, per esempio). Però siamo un Paese di dementi, un posto dove il 42% dei detenuti è in carcere in attesa di processo (come, appunto, De Santis). Un posto dove ci sono 3.500 detenuti imputati o condannati per contravvenzione. Un posto dove, con questi criteri, si spendono 157 euro al giorno per detenuto, pari a 3,8 miliardi di euro l’anno.

Per tutte queste ragioni, che non ho visto rispecchiate nei vari commenti a favore del buon diritto di Fabio De Santis a non vedersi umiliato a quel modo, non riesco a nascondere il sospetto che dietro a tanta umanità giornalistica si nasconda il riflesso che ci spinge a proteggere quello che sentiamo “dei nostri”, l’imputato che prima della disgrazia avremmo volentieri incontrato a cena, l’ex funzionario importante che in ogni caso dispone di avvocati influenti e amici potenti. Mentre degli altri allegramente ce ne infischiamo.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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