BETLEMME, DI CORSA VERSO LA PACE

Ci sono tanti modi di andare incontro alla pace. Facendo un passo avanti, due di lato e mezzo indietro, come spesso fanno i Governi. Oppure correndole incontro, come le 600 persone (150 arrivate apposta dall’Italia) che oggi hanno partecipato alla maratona non competitiva tra Gerusalemme e Betlemme. Una corsetta, se fosse misurata solo sulla distanza fisica, poco più di 8 chilometri, che separa le due città. Un’impresa, invece, visto che attraversa l’abissale lontananza tra due popoli scandita da storie antiche e guerre recenti, da bombe e muri, da un’abitudine alla diffidenza che pare impossibile da scalfire.

Un'immagine della corsa non competitiva da Gerusalemme a Betlemme.

Un'immagine della corsa da Gerusalemme a Betlemme.

L’appuntamento spiritual-sportivo, organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi e dal Centro Sportivo Italiano, con l’appoggio del Coni e la partecipazione, tra gli altri, del ministero israeliano del Turismo, è arrivato alla settima edizione col nome di JPII Games, i Giochi di Giovanni Paolo II. E c’è arrivato senza fiatone, visto che si è allargato anche al nuoto, alla pallavolo, al ciclismo. In queste occasioni quasi sempre si leva la voce di qualche furbone che, all’entusiasmo di chi non teme di usare anche un pallone per stare in allegria con gente diversa, contrappone la realpolitik e il cinismo spicciolo di chi preferisce osservare da lontano. Ma è proprio la realtà a lanciare un messaggio diverso. Le cronache dei nostri anni più o meno recenti sono piene di figure che avevano un sentimento forte della realtà e che, proprio per questo, osavano sperare contro ogni speranza. Da Gandhi a Martin Luther King, da Madre Teresa ad Andrei Sacharov a Nelson Mandela. E se non tutti sono destinati a diventare dei giganti della storia, tutti hanno il pieno diritto di pubblicare il proprio appello alla pace in modo non virtuale, da Facebook, ma concreto, fisico. Con una schiacciata oltre la rete o una bella sudata su e giù per i colli che da Gerusalemme portano a Betlemme.

Perché se pace vera mai ci sarà in Terra Santa, sarà una pace così: concreta, terragna, temprata dai venti come gli olivi e levigata dalla sabbia come le rocce che abbondano da quelle parti. La sigleranno i politici ma la faranno, quando la faranno, gli uomini e le donne che vivono laggiù. L’Opera Romana Pellegrinaggi, che ha organizzato l’evento sportivo, lo sa bene, perché ha visto per lunga esperienza quanto stretto sia, da quelle parti, il legame tra le preghiere e la vita quotidiana, tra la visita ai luoghi santi e il benessere delle famiglie. In Palestina almeno il 65% della popolazione vive grazie all’industria del turismo, che è quasi per intero turismo religioso. E l’anno scorso, un anno di pace pur tra mille tensioni, i palestinesi hanno vissuto un piccolo ma significativo boom economico. In Israele, nel 2009, la massa dei turisti, anche in questo caso in maggioranza pellegrini, ha sfiorato i 2 milioni e 400 mila persone, quasi ai livelli degli anni migliori per  una delle “industrie” più importanti e redditizie del Paese.

Non si tratta di fare i conti in tasca agli altri ma solo di rendersi conto che la Terra Santa è per natura una terra di visita, d’incontro e di accoglienza. Lo è sempre stata e i popoli che la abitano lo sanno bene, tanto da riscoprire con naturalezza l’antica vocazione appena riescono a smettere di spararsi addosso. C’è dunque un gran bisogno di pace, ma anche di capire quale sia la pace possibile, la via percorribile. Il messaggio che i marciatori della Gerusalemme-Betlemme ci mandano è importante perché è semplice, naturale, logico. Perché quella (incontrarsi, camminare insieme, dividere l’acqua, pregare ognuno a modo suo l’unico Dio), da quelle parti, è l’unica cosa giusta da fare.

Pubblicato su Avvenire del 25 aprile 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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