IL PREZZO DEL GREGGIO RACCONTA…

Molti hanno notato che nelle ultime settimane il prezzo della benzina è sempre cresciuto (siamo oltre 1,4 euro al litro per la “verde” in Italia, oltre 1,3 in Gran Bretagna, a 1,17 in Spagna, a 1,45 in Germania)  mentre quello del petrolio è rimasto più o meno stabile. L’attenzione è andata, com’è ovvio, sul “caro benzina“, anche se sarebbe utile non dimenticare l’altro corno della questione: la stabilità del prezzo del greggio.

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Ricordiamo tutti il periodo, recente, dei prezzi schizofrenici. Intanto, va detto che nel 1999 il greggio costava meno di 20 dollari a barile. Nell’estate del 2008 era arrivato a costare 150 dollari a barile, per precipitare a 32 dollari in nel dicembre dello stesso anno. All’inizio dell’estate del 2009 stava sui 50 dollari,  mentre da agosto in poi si è bloccato tra i 70 e gli 84 dollari (quotazioni di ieri) a barile. Gli esperti sono abbastanza concordi nel ritenere questa fascia di prezzo quasi ideale. E sapere perché lo pensano ci aiuta a capire le sfide di domani.

La loro soddisfazione si basa su alcune considerazioni. Proviamo a elencarle.

  • il prezzo tra 70 e 85 dollari (dollaro più, dollaro meno) non è abbastanza basso da vanificare gli sforzi per incrementare le energie alternative ma non è così alto da mortificare le economie dei Paesi industrializzati.
  • lo stesso prezzo non è così alto da spingere i Paesi dell’Africa ancor più a fondo nella povertà o da frenare la ripresa delle economie di Usa ed Europa, ma non è così basso da provocare crisi debitorie troppo acute nei Paesi esportatori di petrolio, come quelli del Golfo o la Russia.
  • è un prezzo, infine, che rende ancora conveniente investire forti somme nell’esplorazione di nuovi giacimenti, come quelli che vengono infatti trivellati nel Golfo del Messico, al largo delle coste africane o come quelli che, vedi decisione di Obama, saranno esplorati al largo dell’Alaska.

A questo “giusto mezzo” siamo arrivati per caso. La crisi ha colpito duro e all’improvviso, il mercato non l’aveva prevista né si era preparato all’urto. L’Opec (il cartello che raduna molti dei maggiori produttori di petrolio) ha tenuto fede alle promesse e ha diminuito le quote di greggio messe sul mercato. Ma produttori come Russia, Brasile e altri se ne sono fatti un baffo e la loro iperproduzione è stata compensata solo dal declino naturale di vasti giacimenti nel Mare del Nord, in Alaska (terra ferma), in Venezuela e in Messico. Siamo dove siamo, quanto a prezzo del petrolio, anche perché la crisi ha ridotto le attività economiche e lo sviluppo di moltissimi Paesi. Riduzione che abbiamo subito, certo non l’abbiamo guidata.

Poiché nessuno si augura di vivere per sempre in un’economia depressa, è chiaro che l’attuale stato di cose è destinato a cambiare e il “giusto mezzo” del prezzo del greggio andrà prima o poi a farsi benedire. Il consiglio implicito degli esperti di cui sopra è di continuare a investire sulle energie alternative e sul nucleare, per prepararsi a un’eventuale risalita dei prezzi. Prospettiva assai probabile se l’economia dovesse ripartire. Se invece non ripartirà avremo il petrolio a buon prezzo. Forse, però, non avremo i soldi per pagarlo.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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