L’IRAQ VOTA, LE DONNE HANNO GIA’ VINTO

Cinque anni fa, alle elezioni parlamentari cui partecipavano anche i sunniti che avevano disertato le elezioni provinciali (gennaio 2005) e il referendum costituzionale (ottobre 2005), per le donne irachene era importante mostrare le dita tinte di viola, la prova ch’erano state al seggio e avevano votato. Velate, circondate dagli uomini di famiglia, alzavano le mani a favore dei fotografi accorsi a documentare un evento che a molti era sembrato fino all’ultimo impossibile: per le stragi dei terroristi, le divisioni etniche e religiose, le rivalità politiche, l’attività ancora intensa delle truppe americane. Oggi i qaedisti hanno meno spazio, la politica somiglia più alla dialettica dei partiti e meno allo scontro delle fazioni, la presenza dei soldati Usa è più discreta. E le donne, al voto, hanno portato molto più della voglia di dire “c’ero anch’io”.

Donne irachene con il dito tinto di viola.

Donne irachene con il dito tinto di viola.

Questa volta ci hanno messo la faccia, e non è un modo di dire. Molte delle 1.801 candidate si sono fatte fotografare a viso scoperto per i manifesti elettorali, un’audacia che vale più di un programma politico in un Iraq pur sempre tormentato dal fondamentalismo islamico e dove ancora un anno fa, alle elezioni provinciali, piovevano le denunce delle candidate i cui manifesti venivano rimossi dagli uomini in segno di disprezzo. Ci hanno messo il cervello, le donne irachene, ora decise ad approfittare delle possibilità offerte dalla legge elettorale (un terzo dei candidati in lista deve essere donna) e dalla Costituzione (82 seggi del Parlamento, un quarto del totale, devono andare alle donne) e pronte ad assumersi responsabilità nuove, superiori a un passato fatto di scarsi ruoli di “consigliere” o, al più, di ministeri per la Famiglia o per le Donne di stampo quasi ornamentale. E ci hanno messo il cuore, a partire da quelle 600 anonime irachene che nella difficile provincia di Al Anbar hanno accettato, dopo un breve corso, di lavorare ai seggi per intercettare eventuali donne kamikaze che non potrebbero essere controllate o perquisite dagli uomini della polizia.

Il manifesto elettorale di una candidata.

Il manifesto elettorale di una candidata.

Per l’Iraq è un capitale enorme, soprattutto se consideriamo che esso si accumula in una regione dove la donna si affaccia alla politica solo dopo aver dimostrato intransigenza persino superiore a quella degli uomini (Iran) o dove le donne sono state ammesse in magistratura (Emirati Arabi Uniti) solo un anno e mezzo fa. Ed è un capitale che andrà gestito e speso con cura. L’influenza degli Usa è stata decisiva per affermare certi principi di pari opportunità nella legislazione irachena. Ma l’esito non sarebbe così clamoroso se nel Dna nazionale non ci fosse un  primitivo elemento di emancipazione femminile. Le irachene rappresentano oltre il 60% della popolazione del loro Paese e fino alla Guerra del Golfo hanno goduto di un pari diritto all’istruzione e di qualche apertura sociale superiore a quelle offerte alle altre donne del Medio Oriente. Per supportare la propria folle deriva dittatoriale e bellicista, Saddam Hussein tentò anche la carta di un islamismo forse di facciata ma, per le donne, ugualmente pesante nelle conseguenze. E dopo la sua cacciata, lo spettro del fondamentalismo di stampo talebano si è a lungo e crudelmente agitato nell’Iraq che tentava di rinascere.

Operazioni in un seggio di Baghdad prima del voto.

Operazioni in un seggio di Baghdad prima del voto.

La sorte delle donne, il loro inserimento nei ranghi di uno Stato che si consolida e di un’economia che riparte, sarà dunque il primo termometro del cambiamento rispetto al passato e della sua efficacia rispetto al futuro. E potrà certo fare da traino all’evoluzione possibile in altri Paesi cui, forse, manca solo un esempio culturalmente non troppo lontano.

Pubblicato su Avvenire del 7 marzo 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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