ANCORA IRAN: LA BOMBA E LA PROPAGANDA

“L’Iran a un passo dall’atomica”. Così, qualche giorno fa, con tanto di virgolette, un più che rispettabile quotidiano italiano. E’ un titolo strasentito, perché la stampa internazionale lo ripete, imperterrita, da molti anni. Fin da quando l’Iran, com’è ormai evidente, era al contrario lontano, molto lontano, dalla bomba atomica.

Mahmud Ahmadinejad, presidente dell'Iran, in visita all'impianto per l'arricchimento dell'uranio di Natanz.

Mahmud Ahmadinejad, presidente dell'Iran, in visita all'impianto per l'arricchimento dell'uranio di Natanz.

Non ci credete? Prendiamo come punto di partenza il 2003, perché proprio in quell’anno, secondo un rapporto del National Intelligence Estimate declassificato e quindi pubblicato dalla astampa americana, l’Iran avrebbe arrestato i propri sforzi per produrre l’arma nucleare. Quei documenti escono sotto l’egida e la garanzia del Direttore dell’intelligence a stelle e strisce, si presume quindi che non siano carta straccia. Io non sono molto convinto, credo che gli ayatollah una bombetta se la farebbero volentieri, per autodifesa e per tenere sotto scacco i sauditi e gli iracheni, ma non importa: i servizi segreti Usa dicevano che nel 2003 tutto si era fermato, partiamo da lì.

Nel 2003, tra l’altro, l’Iran aveva ceduto alle pressioni internazionali e aveva aderito al Protocollo addizionale del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, cioè aveva accettato di farsi ispezionare dai funzionari dell’Agenzia atomica dell’Onu. Bene. All’inizio del 2004 sui giornali di tutto il mondo impazzava una valutazione attribuita alla Cia: tempo due anni al massimo e l’Iran avrebbe avuto la bomba atomica. Risalto ancor più ampio ebbe nel 2005 anche la valutazione espressa dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, un gruppo di opposizione il regime degli ayatollah aveva stanziato 2,5 miliardi dollari per ottenere tre testate nucleari a metà del 2004. Secondo lo stesso Consiglio Nazionale, l’Iran stava alzando il ritmo dei lavori su un reattore a Sud di Teheran capace di produrre abbastanza plutonio per una bomba atomica entro il 2007 (notizia diffusa da tutte le maggiori agenzie di stampa internazionali).

Satira iraniana sulle continue minacce di bombardamento.

Satira iraniana sulle continue minacce di bombardamento del Paese.

Nel 2006, sempre per stare negli Usa, Joshua Muravchik, esperto e analista dell’American Enterprise Institute, spiegava che bisognava bombardare l’Iran perché era troppo vicino a ottenere la bomba. Nel 2007 il network televisivo americano Abc sparava uno scoop: l’Iran avrà la bomba artomica entro il 2009. Nella primavera del 2008, secondo il quotidiano inglese Guardian, il premier israeliano Olmert avrebbe chiesto al presidente Bush l’autorizzazione a bombardare l’Iran che era, naturalmente, “troppo vicino a ottenere la bomba atomica”. E così via, giorno dopo giorno, senza mai stancarsi, per anni e anni. Qualche tempo fa, a dar retta, anche il nuovo direttore dell’Agenzia atomica dell’Onu, il giapponese Yukiya Amano, avrebbe espresso la solita certezza: l’Iran è vicino alla bomba atomica. Salvo poi leggere in questi giorni che Amano pensa “di non poter dire se tutte le attività nucleari iraniani abbiano finalità pacifiche”. Un po’ diverso o no?

Targa del Texas ma un "no!" all'attacco contro l'Iran.

Targa del Texas ma un "no!" all'attacco contro l'Iran.

Nessuno ha dubbi, spero, sul fatto che il presidente Ahmadinejad e i suoi siano abilissimi nel prendere tempo e nel raccontare un sacco di frottole. E se così non fosse, non possiamo certo rischiare: arrivare al nucleare militare dal nucleare civile è tecnicamente facile, se si riesce a eludere i controlli politici, e con un regime che minaccia di distruggere questo e quello (Israele in primo luogo) bisogna stare attenti. Ho un altro dubbio: questa continua minaccia, in gran parte basata su frottole e propaganda, secondo me in questi anni ha aiutato il regime degli ayatollah, allo stesso modo (ma non nella stessa misura, ovvio) in cui lo fece la guerra contro Saddam Hussein del 1980-1988. Sotto la pressione esterna sono riusciti almeno in parte a compattare l’opinione pubblica e a sradicare in gran parte i germi di democrazia che Khatami, in un modo o nell’altro, aveva disseminato.

Non è un caso se la contestazione contro Ahmadinejad e, soprattutto, contro gli esiti della cosiddetta “rivoluzione islamica” è esplosa quando il presidente Obama ha messo un po’ di sordina agli appelli al bombardamento e le truppe americane di stanza in Iraq hanno assunto un profilo più basso. Gli iraniani amano il proprio Paese e non sono disposti a cederlo ad altri. Piuttosto si schierano dietro le bandiere del khomeinismo. Quando la minaccia esterna cala, sale il loro desiderio di affidarlo  a mani migliori di quelli di questi autocrati col turbante. E’ un elemento da non trascurare.


Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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