Dopo la visita del premier Silvio Berlusconi in Israele, le sue critiche all’Iran e le prevedibili reazioni di Teheran (mezzo assalto alla nostra ambasciata compreso), si sono spese molte parole sui costi per l’Italia di un’eventuale interruzione delle relazioni economiche (fino a ieri ottime: 3 miliardi di euro nel 2009, ma nel 2008 erano ancora più di 6) con la Repubblica islamica. La realtà, in questo senso, è abbastanza chiara: rompere con gli ayatollah e con il loro regime è doveroso ma costoso, anche perché siamo più noi ad avere bisogno di loro che il contrario.
L’Iran è un Paese con 70 milioni di abitanti giovani (l’età media è 27 anni), ricco già oggi (ha 136,7 miliardi di barili di petrolio di riserve accertate, pari a circa il 10% di tutte le riserve di petrolio del mondo) e potenzialmente ancor più ricco domani, visto che le sue riserve di gas naturale sono le seconde al mondo e non sono ancora state sfruttate per l’export. Il boicottaggio economico dell’Iran viene da molti invocato come misura da decidere subito, se non altro per ragioni morali, e questo è giusto. Gli stessi, però, trascurano di ricordare che ciò non avviene anche perché non è affatto dimostrato che boicottare gli ayatollah serva a qualcosa.
Lasciamo pure da parte le considerazioni politiche. Per esempio: la storia dimostra che i boicottaggi, da quello contro Cuba a quello contro l’Iraq, hanno sempre aiutato i dittatori a restare al potere. Oppure: l’Iran è decisivo per la stabilità dell’Afghanistan, Paese dove siamo impegnati anche dal punto di vista militare. E così via. Stiamo sull’economico. Per le ragioni di cui sopra, l’Iran ha molto da offrire. E il boicottaggio, se non è totale, fallisce. L’Europa, che era il primo partner commerciale dell’Iran, l‘anno scorso è stato sopravanzata dalla Cina, che con Teheran ha ormai un interscambio commerciale che vale 29 miliardi di dollari l’anno (quasi 37 se si consera il volume degli scambi che avvengono via Dubai). Sempre nel 2009, le vendite di greggio dell’Iran verso la Cina sono cresciute del 10% e l’Iran è ormai il terzo fornitore di petrolio della Cina dopo l’Arabia Saudita e l’Angola.
Uno dice: la Cina. Ma il problema è più vasto. Da quando si è aperta la partita diplomatica sul nucleare iraniano, con relativi contrasti diplomatici, gli affari dell’Iran con il resto del mondo sono cresciuti del 50%. I nostri sono calati ma intanto sono cresciuti quelli della Spagna, del Brasile, della Germania. Mentre noi importiamo soprattutto petrolio, l’Iran da noi compra soprattutto macchinari industriali e apparecchi meccanici. Sono le tipiche tecnologie che, in caso di boicottaggio, sarebbero definite dual use, cioè potenzialmente applicabili sia in campo civile sia in campo militare. Sarebbero anche le prime a rientrare nei parametri del boicottaggio.
Alla fin fine, dunque, un eventuale boicottaggio economico contro l’Iran dipende da una sola considerazione: quanto siamo disposti a rimetterci. Tutto il resto è fuffa.