ARMA LETALE IN AFGHANISTAN: L’UMILTA’

Il nuovo piano per la pacificazione dell’Afghanistan, concordato dal presidente Hamid Karzaj con la Nato e con i Paesi occidentali durante la Conferenza di Londra a cui hanno partecipato 60 Governi, non è una svolta strategica ma, piuttosto, una presa d’atto degli errori fin qui commessi e un salutare gesto d’umiltà.

Un soldato Usa a colloquio con un ragazzo afghano nei pressi di Kabul.

Un soldato Usa a colloquio con un ragazzo afghano nei pressi di Kabul.

Eccone i punti principali: convocazione di una Loya Jirga (alla lettera Gran Consiglio, nei fatti un’assemblea tribale) di riconciliazione nazionale e varo di un programma per il reintegro sciale dei talebani disposti a gettare le armi. A questo scopo è stato approntato un “Fondo fiduciario per la pace” che per il primo anno ha già una dote di 140 milioni di dollari.

Di nuovo, come dicevo, da un punto di vista strategico non c’è nulla. L’intervento occidentale in Afghanistan, che a novembre di quest’anno compirà dieci anni, ricalca con un certo ritardo quanto la Casa Bianca fece in Iraq nel 2007 con il cosiddetto surge: un drastico aumento delle truppe (in Iraq arrivarono a 210 mila soldati, in Afghanistan siamo ormai a 100 mila) e, in parallelo, una disinvolta trattativa con i ribelli. In Iraq l’accordo fu trovato con le tribù sunnite, i cui armigeri furono inseriti in milizie filo-governative (Figli dell’Iraq e simili) e dotati di un discreto salario. In Afghanistan si spera di convincere molti guerriglieri più o meno talebani a disertare le file dei signori della guerra per entrare in milizie simili a quelle fondate in Iraq.

La mappa dell'Afghanistan: in rosso le regioni dove più forte è la presenza degli isorti.

La mappa dell'Afghanistan: in rosso le regioni dove più forte è la presenza degli isorti.

Altri due elementi confermano questa realtà. Dell’idea di “assumere” i talebani invece di combatterli si parla da molto tempo, soprattutto negli Usa. C’è anche chi hà già calcolato quanto costerebbe (per esempio gli specialisti Fotini Christia e Michael Semple in Foreign Affairs) e ha concluso che sarebbe pure conveniente. I “soldatisemplici” della guerriglia sono un incrocio tra il pastore e il miliziano, combattono spesso per ragioni assai più banali (mantenere la famiglia, restare fedeli al capo tribù, proteggere il villaggio o la valle) di quelle (ideali islamici, odio anti-occidentale, ecc.) che noi gli attribuiamo e la Cia ha anche scoperto che molti di loro, per arrotondare, in estate fanno i braccianti nei campi. In poche parole, con 300-400 dollari al mese sarebbe possibile far cambiare campo a migliaia di loro. Il secondo elemento è che i primi promotori dell’idea di trattare con i ribelli sono stati, sia in Iraq sia in Afghanistan, i militari: a Baghdad il generale David Petraeus, a Kabul il generale Stanley McCrhystal che, non a caso, di Petraeus fu in Iraq uno dei principali collaboratori e l’uomo a cui è attribuito il merito di aver eliminato, nel 2006, Abu Moussa al Zarqawi, allora leader dei terroristi di Al Qaeda.

Una stampa che ricorda la sfortunata spedizione inglese in Afghanistan nel 1842.

Una stampa che ricorda la sfortunata spedizione inglese in Afghanistan nel 1842.

La vera novità, al contrario, potrebbe essere l’atteggiamento che questo cambio di rotta presuppone. Ovvero, la disponibilità a conoscere e riconoscere l’avversario. Per troppo tempo, infatti, i Governi occidentali si sono cullati in due mediocri convinzioni. La prima: che la potenza militare avebbe finito prima o poi per piegare la resistenza. La seconda: che la resistenza (guerriglia, terrorismo, ecc. ecc.) avesse come unico motore il fanatismo religioso, l’oltranzismo islamico, e che quindi non fosse degna di alcun rispetto e di alcun serio tentativo di capirne metalità e motivazioni.

Un atteggiamento presuntoso che non teneva in alcun conto la storia dell’Afghanistan (la sua perpetua disponibilità a combattere qualunque forza d’occupazione, dalle truppe coloniali britanniche all’Armata Rossa; o la profonda divisione tribale che impedisce la consacrazione di qualunque uomo di parte, anche di un Karzaj che rappresenta i pashtun che sono il 40% della popolazione) e che ha prodotto il mezzo disastro che sappiamo: 1.611 soldati della coalizione uccisi (44 nel solo gennaio 2010), circa 10 mila soldati e poliziotti afghani uccisi, almeno altrettanti civili uccisi, ampie regioni del Paese sotto il controllo degli insorti, corruzione e commercio di droga ai massimi livelli. Se “trattare con i talebani”, come i giornali hanno sbrigativamente sintetizzato, significa prendere atto che sull’altro lato della barricata c’è un popolo, una mentalità e una storia, il consiglio dei generali come McChrystal diventerà l’azione militare più preziosa ed efficace di questi paurosi dieci anni di guerra.


 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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